Per milioni di anni l’uomo ha cercato di distinguersi dai suoi antenati – le scimmie – senza una sostanziale crescita del cervello. Il processo di encefalizzazione è iniziato dopo la scoperta del fuoco, quando abbiamo cominciato a cucinare il cibo.
Già nel 1785 il biografo scozzese James Boswell definiva l’uomo come «un animale che cucina». I nostri cugini scimmie, scimpanzè e gorilla sono sostanzialmente vegetariani, si nutrono di frutta e di foglie, talvolta possono cacciare altri animali, ma si tratta quasi sempre di un comportamento opportunistico.
Ora, dal momento che tra gli animali non ci sono cuochi e l’uomo è senza dubbio un animale che cucina, come, quando e perché cucinare ci ha reso umani? I nostri antenati hanno da sempre interagito con la natura in base ad un imperativo dominante: sopravvivere.
Continuamente esposti alla possibilità di divenire cibo essi stessi, hanno sviluppato capacità di intervento sulla natura via via più articolate, e la scoperta del fuoco ha sicuramente segnato una tappa cruciale nel divenire umani. Utilizzato per scaldarsi, proteggersi dalle fiere e fare luce, il fuoco ha dato luogo a sviluppi culturali progressivi di enorme importanza in campo alimentare.
Per dirla con le parole dell’antropologo Claude Lévi-Strauss, la cottura dei cibi col fuoco è «l’invenzione che ha reso umani gli umani».
Secondo la visione strutturalista di Lévi-Strauss, la cottura ha infatti segnato simbolicamente una transizione tra natura e cultura, e anche tra natura e società, dal momento che, mentre il crudo è di origine naturale, il cotto implica un passaggio a un tempo culturale e sociale.
Una questione di cervello
E che la gestione del fuoco sia stata un passaggio importante ne è fermamente convinto anche Richard Wrangham, studioso di primatologia, che nel 2011 teorizzava che aver imparato ad usare il fuoco per cucinare è stato il primo passo che ha fatto la differenza tra «quasi scimmie e quasi uomini» e l’evento che maggiormente ha segnato l’evoluzione umana è stato l’aumento delle dimensioni del cervello negli ultimi 2 milioni di anni.
Si stima, infatti, che la separazione dei nostri antenati dalle scimmie risalga a circa 6 milioni di anni fa (Ma) mentre la nascita del genere Homo a 2,4 Ma. La cosa interessante è che due terzi del tempo l’uomo li ha impiegati solo per distinguersi dagli scimpanzè senza una sostanziale crescita del cervello.
Il processo di encefalizzazione è scattato appena 2 Ma probabilmente proprio a causa di una maggiore cottura dei cibi. Questo perché la cottura aumenta l’assorbimento dei nutrienti con un ricavo energetico maggiore.
Il cibo cotto ha infatti una struttura molecolare diversa rispetto a quando è crudo: guardiamo ad una proteina, prima della cottura ha una struttura molto complessa, ma dopo la cottura si denatura, cioè assume una forma molto semplice che la rende più facile da assorbire.
Secondo Wrangham, dunque, cuocere il cibo ci ha reso umani perché ci ha dato l’energia necessaria per alimentare un cervello di grandi dimensioni. I vantaggi della cottura si ripercuotono anche sul fattore tempo: se infatti mangiassimo cibo crudo come uno scimpanzé passeremmo gran parte della giornata a masticare. Cucinare quindi vuol dire anche ridurre il tempo speso per mangiare.
I vantaggi biologici
I primi “cuochi” sopravvissero e si riprodussero meglio, i loro geni si diffusero ampiamente, il loro corpo, modellato dalla selezione naturale, si andava via via adattandosi biologicamente agli alimenti cotti, per trarre il massimo vantaggio dalla nuova alimentazione.
In pratica, come afferma l’evoluzionista Telmo Pievani, nella sua evoluzione l’uomo ha trasformato il cibo e il cibo ha trasformato l’uomo: si tratta dunque di un fenomeno di co-evoluzione.
Di questo oggi abbiamo testimonianza da diversi ritrovamenti fossili risalenti agli albori del cespuglio evolutivo della specie umana.
Se mettessimo intorno a un tavolo tutte le specie di ominidi nostri antenati, noteremmo tra gli australopiteci (Lucy, per intenderci) e Homo erectus il più grande salto in termini di dimensioni di intestino e denti.
Anche se non ci sono informazioni dirette sulle dimensioni dell’intestino di erectus, la grandezza e la forma della cassa toracica suggeriscono che il suo ventre non era così grande da accogliere le viscere voluminose di un erbivoro crudista.
Inoltre grazie a indagini genetiche sappiamo che circa 2 Ma la linea evolutiva umana perse il gene MHY16 che nei primati non umani fornisce forza ai muscoli della mandibola. È molto probabile che agli erectus una muscolatura potente nella mandibola risultava inutile se non dannosa per il rischio della rottura dei denti che nel frattempo si erano fatti più piccoli.
Pare allora cha sia stato proprio erectus ad aver segnato un’ipotetica linea di confine, una sorta di prima e dopo la cottura. E le prove a carico di ciò sostanzialmente sono due. Prima di tutto, come abbiamo visto, le trasformazioni anatomiche connesse alla dieta tra le più significative che in qualunque altra epoca dell’evoluzione umana.
In secondo luogo, la perdita delle caratteristiche che consentivano di arrampicarsi agevolmente suggerisce l’abitudine di dormire sul terreno, che è difficile da spiegare senza il controllo del fuoco. Non dimentichiamo poi che erectus fu anche la prima specie del nostro lignaggio a estendere il suo raggio d’azione oltre l’Africa.
Dunque, prima abbiamo sembianze scimmiesche con bocca e fianchi larghi, poi iniziamo ad assomigliare a esseri umani. L’unica spiegazione, secondo Wrangham, è che nel nostro diventare umani l’azione di cucinare, ancora una volta, ci abbia dato una sostanziale mano: abbiamo iniziato a farlo 2 Ma e da allora non abbiamo più smesso.
Stare insieme
Comunicazione e convivialità rappresentano inoltre una prerogativa fondamentale dell’essere umani e il cibo ha giocato nuovamente un ruolo di primo piano. Secondo il professor Kurt E. Anderson dell'Università della California «quando contestualmente alla crescita del cervello umano, i gruppi sociali hanno teso ad accrescere le loro dimensioni, si è ampliata anche l’estensione del territorio coperto dal gruppo.
Chiaramente in un territorio più grande la scoperta di una fonte di cibo doveva essere comunicata con maggiori particolari». Accanto a ciò, anche la necessità di ridurre le tensioni legate alla spartizione degli alimenti ha avuto un ruolo critico nell’evoluzione di un linguaggio articolato.
Se poi teniamo presente che questi primi uomini si ritrovavano a condividere il cibo intorno al fuoco, faccia a faccia, sorridendo e progressivamente parlando, vediamo dunque nascere ciò che oggi chiamiamo convivialità.
Ecco allora che la consuetudine di mescolare cibo e discorsi in circostanze diverse deriva da un’esperienza molto lontana nel tempo, con la quale la specie umana è salita di parecchi gradini nella scala evolutiva culturale e sociale.
Viene da chiedersi allora che cosa resta oggi dopo secoli spesi ad investire sull’importanza della convivialità, dall’ultima cena di Gesù al Convivio di Dante, fino ad arrivare alla base della piramide alimentare?
Se noi sapiens del 2023, umani da circa 2 milioni di anni, prendessimo posto a quel banchetto preistorico di cui sopra? Beh, con buona probabilità invece di scambiare quattro chiacchiere con i nostri bis bis nonni, saremo troppo impegnati a leggere l’ultima notifica social o a fotografare il cibo da condividere con gli amici virtuali.
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