L’assenza di utilità «sotto il profilo giuridico perde del tutto significato in questa sede». Il tribunale della Santa sede segnala come il cardinale non si sia mai allontanato da Marogna
Sussiste il reato di peculato anche se non c’è un vantaggio pecuniario personale. Per questo il cardinale Giovanni Angelo Becciu è colpevole secondo l’ordinamento vaticano. Inoltre a tutti gli imputati sono stati garantiti i diritti della difesa: quello sulla vicenda della compravendita del palazzo londinese situato in Sloane avenue è dunque stato un giusto processo.
Sono questi alcuni punti salienti delle motivazioni della sentenza rese note il 30 ottobre in relazione al procedimento giudiziario svoltosi nell’arco di 86 udienze nello stato vaticano che ha visto la condanna di 9 imputati, benché non tutte le richieste dell’accusa siano state accolte dal tribunale guidato da Giuseppe Pignatone.
In quanto alle contestazioni delle difese degli imputati circa le violazioni dei loro diritti, si afferma fra le altre cose nella sentenza: «Le difese hanno fatto molte volte riferimento ad asserite violazioni della Costituzione italiana e delle Convenzioni internazionali, in particolare la Convenzione europea per i diritti dell'uomo (Cedu). Più specificamente, è stato frequente il richiamo ad (asserite) violazioni dei principi del giusto processo».
In proposito, «si deve però innanzitutto rilevare dal punto di vista formale che nello Stato della Città del Vaticano vige il sistema delle fonti indicato nella Legge sulle fonti del 2008, in questo quadro non possono trovare applicazione né la legge fondamentale di un altro Stato, qual è la Costituzione della Repubblica italiana, né una Convenzione alla quale il Vaticano non ha aderito. Si deve poi aggiungere, dal punto di vista sostanziale, che l'ordinamento vaticano ha recepito questi principi fondamentali con propri provvedimenti legislativi».
In tal senso, si spiega ancora, il tribunale vaticano «nella convinzione che il contraddittorio tra le parti è il metodo migliore per raggiungere la verità processuale ed anche, per quanto possibile, per cercare di avvicinarsi alla verità senza aggettivi, ha sempre cercato, sfruttando al massimo gli spazi lasciati all’interprete dal quadro normativo vigente, di adottare interpretazioni e prassi operative che garantissero l’effettività del contraddittorio, assicurando il più ampio spazio alle parti, e in specie alle difese». Argomentazione che viene ripresa anche in una nota di commento alla sentenza pubblicata sul sito istituzionale Vatican news e firmata da Andrea Tornielli, direttore editoriale vaticano: «Anche se il Vaticano – come la Francia e a differenza dell’Italia – mantiene un rito inquisitorio diverso da quello accusatorio e dunque nella fase istruttoria non prevede una “parità delle armi” tra accusa e difesa, ben diversa è la fase dibattimentale dove il principio è stato pienamente garantito ed è stato celebrato un giusto processo, con il diritto di difesa e la presunzione di innocenza. Principi peraltro ben definiti e previsti dalle norme vigenti».
Peculato senza fini i lucro
Significativa, poi, la definizione del reato di peculato data dalla sentenza in conformità con le leggi vaticane, si tratta di un capitolo decisivo della vicenda perché intorno a questo nodo gira la condanna del card. Becciu e per conseguenza di altri imputati. «La finalità di lucro – si afferma in proposito – è del tutto estranea alla fattispecie di peculato prevista dall'ordinamento vaticano». Per questo la responsabilità del cardinale «non può essere messa in discussione neppure in ragione di un ulteriore argomento...: la rivendicata assenza di utilità in capo a Becciu. L'argomento può forse avere una sua rilevanza in una dimensione metaprocessuale (tanto da aver trovato risalto anche sul piano mediatico), ma sotto il profilo squisitamente giuridico (che è l'unico scrutinabile in questa sede) perde del tutto significato».
Il ruolo di Mincione
Del resto, si precisa subito dopo, «non può certo negarsi che l'uso in modo illecito dei beni della Chiesa si sia risolto in un tanto evidente quanto significativo vantaggio per Mincione (il finanziere coinvolto nell’affare, ndr) ed i suoi sodali quale diretta conseguenza della condotta illecita posta in essere da Becciu, sicché a nulla rileva che egli non abbia inteso agire con finalità di lucro, né che non abbia conseguito alcun vantaggio».
Quindi si afferma: «Raffaele Mincione ha contribuito in modo decisivo, con le sue condotte, alla consumazione del reato di peculato in esame, del quale è stato, peraltro, il maggiore beneficiario». In sostanza, il cardinale non ha intascato nulla ma avrebbe favorito il guadagno di altri. In gioco c’è, secondo il Tribunale, «il concetto di diligenza del buon padre di famiglia», «il criterio della diligenza del buon padre di famiglia significa – si legge ancora – una amministrazione prudente, volta innanzitutto alla conservazione del patrimonio, anche quando cerca di accrescerlo, valutando le occasioni di guadagno pur se parametrate ad una eventuale e comunque contenuta possibilità di perdita».
E questa sembra essere la grande preoccupazione che emerge fra le righe delle 800 pagine della sentenza, ovvero che i criteri di trasparenza e rendicontazione siano sempre rispettati da chi gestisce le risorse finanziarie d’Oltretevere; da qui anche i dubbi e le obiezioni sollevate dalle difese, ovvero che in realtà dietro al coacervo di richiami normativi, vi fosse, da parte della Santa Sede, la necessità di imporre, con condanne esemplari, nuovi comportamenti nella gestione finanziaria che rompessero con le abitudini del passato. Se il risultato è stato raggiunto con questo processo è cosa che si vedrà.
Infine viene affrontato anche il capitolo delle somme date a Cecilia Marogna per la liberazione di una suora rapita in Mali e invece spese dall'interessata per acquisti personali, nella sentenza si parla di rapporti personali amichevoli e familiari fra il porporato e la donna. «Il cardinale ha avuto, in più riprese, la certezza anche documentale del fatto che la Marogna aveva speso il denaro che egli le aveva fatto mandare per scopi personali, per lo più voluttuari, ma non ha fatto niente. Anzi, secondo quanto egli stesso ha dichiarato, ha chiesto più volte spiegazioni alla Marogna ed ogni volta si è "accontentato” dell'affermazione della donna che le accuse non erano vere», scrive il Tribunale vaticano.
«Pur a fronte della piena consapevolezza circa la assoluta gravità dei fatti di cui (almeno) la Marogna si era resa protagonista – si legge ancora – il cardinale Becciu non ha presentato una querela, una denunzia e neanche un semplice esposto; in realtà, non ha preso le distanze dalla Marogna neanche nelle dichiarazioni rese da imputato». Per il Tribunale si tratta di «un comportamento oggettivamente inspiegabile». Nel testo si sottolineano anche «i rapporti tra la Marogna, il cardinale e i suoi familiari quali emergono dai messaggi rinvenuti dalla Guardia di Finanza sui telefoni cellulari sequestrati ad alcuni di loro». «A prescindere dalla ricostruzione del contenuto delle diverse vicende cui fanno riferimento questi messaggi – è la conclusione – quello che rileva in questa sede è evidentemente il fatto che essi dimostrano che il cardinale ha continuato ad avere rapporti del tutto amichevoli, se non di vera e propria familiarità, con la Marogna anche dopo che egli ha saputo che aveva speso i soldi della Segreteria di Stato per scopi personali e voluttuari».
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