Tuttal’Italia (Tuttal’italià, zum zum) può elevare peana di ringraziamento: Jannik Sinner è stato sì squalificato per tre mesi a partire dal 9 febbraio e fino al 4 maggio ma ha schivato definitivamente pericoli maggiori; e soprattutto potrà giocare a Roland Garros, Wimbledon e New York proseguendo la sua corsa verso il Grande Slam. Non era scritto che ciò succedesse visto che l’antidoping internazionale (la Wada) ricorrendo al Tribunale arbitrale dello sport di Losanna contro l’assoluzione per il caso Clostebol aveva chiesto l’applicazione della norma che prevede uno stop fra uno e due anni. Invece le parti sono addivenute a un accordo extra giudiziale, non ci sarà il processo che avrebbe dovuto tenersi a metà aprile: Jannik non giocherà a Doha, Indian Wells, Miami, Montecarlo e Madrid che rappresentavano le tappe della sua primavera. Perderà i punti (1600) che avrebbe dovuto difendere e che derivano dalla vittoria di Miami, dalla semifinale di Montecarlo e dai quarti di Madrid. I punti della finale 2024 a Indian Wells gli erano già stati sottratti all’indomani della sentenza Itia.

I primi a gioire per la sentenza sono quelli alla Federtennis italiana: potranno vendere i biglietti con la certezza che stavolta Sinner agli Internazionali d’Italia ci sarà e non solo: sarà per lui il torneo del grande rientro dopo la «grande vergogna» della squalifica come l’ha definita il presidente Binaghi. Facile prevedere da ora un ulteriore balzo in avanti del costo dei biglietti ancora disponibili, manovra nella quale il presidente Fitp si considera particolarmente versato.

Gioiscono, al di là delle dichiarazioni (e delle non dichiarazioni) di facciata, quelli di Atp e gli organizzatori dei tornei dello Slam. Gioiscono gli sponsor che fanno di Sinner uno da 50 milioni di dollari l’anno e che, anzi, potranno sbizzarrirsi da qui a maggio a creare campagne pubblicitarie intorno a un nuovo personaggio, capace di attraversare senza colpo ferire il deserto di una mini-squalifica uscendo, anzi, quasi santificato. Gioiscono i media sportivi e non, che potranno godere di un trimestre in cui giocheranno a indagare come il nostro vivrà questa nuova esperienza: Jannik non potrà nemmeno allenarsi fino al 13 aprile. L’accordo ha fissato anche il giorno in cui potrà iniziare la preparazione. Non allenarsi vuol dire che non potrà lavorare in strutture affiliate alla Federazione, non potrà entrare da spettatore ai tornei e non potrà affrontare giocatori tesserati. Potrà muoversi a suo piacimento in strutture private (un campo in una villa a Montecarlo o vicinanze lo troverà) e solo contro non tesserati. Non è chiaro se potrà giochicchiare a padel e pickleball per passare il tempo.

I motivi dell’accordo

L’accordo extra (o stra) giudiziale è arrivato come un fulmine a ciel sereno ma mettendo insieme alcuni elementi era possibile prevedere che non si sarebbe arrivati “in aula”. Intanto il cambio di avvocato difensore che avrebbe dovuto rappresentare Sinner in aula: al posto di Jeffrey Benz, americano, era stato scelto un ex membro della Corte Suprema inglese, l’81 enne John Dyson. Una figura chiaramente “ingombrante” contro cui sarebbe stato difficile entrare in conflitto. E poi: il plafond legale dei simili dibattimenti è il diritto britannico. Se si fosse entrati nel merito, Sinner avrebbe potuto contare su un Lord che nelle pieghe di quel diritto era consueto entrare come una lama nel burro. Dal punto di vista Wada meglio evitare. Una totale assoluzione dell’altoatesino avrebbe rappresentato il colpo di grazia su una reputazione già ai minimi termini, specie dopo il caso dei nuotatori cinesi assolti prima di Tokyo per una contaminazione accidental-ambientale in un hotel.

Ma anche per Sinner di pericoli ce n’erano. E non erano pochi. È vero che una squalifica è pur sempre una squalifica e resta sulle tue spalle fino a quando qualcuno ne serba la memoria. Ma se al posto di tre mesi si fosse arrivati a un anno o due, il discorso sarebbe stato diverso. Specie perché nessuno sa mai esattamente cosa può succedere in un processo.

Gli altri protagonisti

Per esempio: coloro che escono da questa vicenda di fatto come i colpevoli – il preparatore atletico e sorvegliante sulle pratiche antidoping Umberto Ferrara e il fisioterapista Giacomo Naldi – sarebbero stati ascoltati, visto che il dibattimento non avrebbe avuto al centro la positività di Sinner al Clostebol ma la sua scarsa sorveglianza sull’operato di chi gli stava intorno. Ora: Giacomo Naldi ha pronunciato più volte, dopo il licenziamento, una frase tutt’altro che banale: «Sono stato sempre professionale al cento per cento». Dato che massaggiare il corpo del primo tennista del pianeta senza guanti con un dito grondante Clostebol non rientra esattamente in una condotta professionale, delle due l’una: o Naldi ha mentito in merito al livello della sua attenzione oppure qualche carta nel suo mazzo l’aveva. Difficile azzardare cosa. Ma il team Sinner deve aver valutato che si trattava di un pericolo da evitare, non foss’altro perché una squalifica lunga avrebbe comunque rappresentato un peso nella carriera più complicato da far dimenticare. La Wada, dal canto suo, si è accontentata di ribadire che l’atleta è responsabile in toto dell’operato dei suoi collaboratori e se questi sbagliano è lui a pagare. Risultato: tre mesetti di stop. Tuttal’Italia-Tuttal’Italià è felice e chiudiamola qui.

Le prospettive

Però, però. La Wada ha già annunciato che la contaminazione accidentale è diventata un problema e che da gennaio 2027 entreranno in vigore norme nuove: se di una sostanza particolarmente contaminante (come il Clostebol) saranno rivenute tracce in un atleta al di sotto di una certa soglia (come nel caso di Sinner) quei livelli non comporteranno l’apertura di un procedimento. Non avremo più casi Clostebol-Jannik o Errani-Letrozolo-tortellino. Ma non si eviteranno le polemiche. Se la nuova soglia di tolleranza sarà posta a 0,4 nanogrammi e in un atleta invece se ne ritroveranno 0,41 che succederà? Le polemiche aumenteranno. Più o meno come nella valutazione del fuorigioco nel nostro amato calcio. La sensazione è che il dibattito sulla contaminazione accidentale non sia altro che una graditissima foglia di fico per non guardare invece nel buio dove si annida il doping lontano da pastigliette, integratori e spray cicatrizzanti, quel doping che nessuno conosce e che dunque nessuno cerca, più avanti di 10 anni. Nel ciclismo hanno inalato monossido di carbonio fino allo scorso Tour de France come sperimentazione scientifica, finché dall’Unione internazionale hanno alzato il ditino per proibirlo. La camera ipobarica in cui si richiude Djokovic era un toccasana naturale fino a quando molti paesi l’hanno vietata: due anni fa si è deciso che è legale. È una corsa senza fine quella contro il doping e non sarà certo una leggina anti Clostebol a confortarla. Meglio indulgere nell’interessantissimo dibattito sulle possibilità di Sinner di rientrare da numero 1 al mondo: per la cronaca è possibile, non certo. Il buio invece fa paura, meglio evitarlo.

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