Il tennista italiano è enigmatico, ermetico. Dopo la vittoria agli Australian Open ha declinato l’invito del Quirinale. Nessuno intorno a lui si è sforzato di spiegare perché non vada, eppure bisognerebbe farlo: non è la stessa cosa che sfilarsi da Sanremo. Una nuova assenza di chiarezza, come per le Olimpiadi
Nessuno sa bene cosa gli passi fino in fondo per la testa. È uno dei motivi del suo successo in campo, la scarsa capacità di lettura dei suoi gesti. Non per imprevedibilità o estro, quella cosa che chiamiamo fantasia. Jannik Sinner è un enigmatico. Un ermetico.
Lo ha definito in questi termini il quotidiano spagnolo El Mundo, prima ancora che tanta inaccessibilità si manifestasse addirittura con una defezione dinanzi a un invito al Quirinale: avrei preferenza di no.
Nessuno intorno a lui si è sforzato di spiegare perché non vada, eppure bisognerebbe spiegarlo proprio bene. Il tennis italiano sale oggi al Colle perché il capo dello Stato sta riconoscendo ai suoi successi e alla sua diffusione un ruolo e un valore nella vita del paese.
Dire di no al presidente della Repubblica è una circostanza strana, rara, probabilmente unica. Non è la stessa cosa che sfilarsi dal festival di Sanremo. Sergio Mattarella non è Amadeus. Non può non essere un motivo di imbarazzo per la federazione e per il Coni, se lo sportivo italiano più in vista non coglie il senso del suo gesto, lui che ci viene raccontato come meraviglioso, esemplare. perfetto.
Un modello di vita, di misura, di stile. Tutti cercano il loro Sinner perché tutto è Sinner, ovunque è Sinner. Non avrai altro tennis all’infuori di lui. Non può esserci bellezza senza Jannik. È il figlio giusto, il nipote giusto, l’allievo giusto, l’italiano giusto perché anti-italiano – anche questo si sente, tante se ne sentono su Sinner – ma come ogni italiano esemplare stamattina ha un certificato medico.
Ne aveva uno pure per saltare le Olimpiadi, tonsillite ci raccontò, ma tonsillite non era. Nessuno sa bene cos’abbia. È una nuova assenza di chiarezza. Durante il torneo, gli abbiamo visto negli occhi ogni tanto il buio, una lama di infelicità. Un giorno è stato male in campo, aveva i brividi, i conati di vomito, temeva di doversi ritirare. Ma poi è rimasto in piedi, fino a vincere. Sarà certamente esausto e spossato. Avrà certamente voglia di tornare a casa e rintanarsi dai suoi. Il pensiero del Clostebol e della sentenza di aprile è certamente un’ombra pesante da portare. Può dare stress.
Riposo, questo gli consigliano i medici, qualcuno dice che glielo impongono. Salterà il torneo di Rotterdam, non tornerà in campo prima di metà febbraio a Doha. Eppure, dai nostri comodi divani, si fa fatica a immaginare che tutto questo possa spingere a non fare uno sforzo istituzionale, si direbbe finanche di buona educazione verso un signore di 83 anni che ogni giorno ha la sua agenda piena di mani da stringere.
A meno che Sinner non senta di avere addosso una brutta influenza, o forse un virus, chissà cosa, un virus acuto e minaccioso come questa sinnerite di cui si è ammalato un intero paese che non chiede e non vuol sapere. Ma certo. Sarà così. Come non averci pensato prima. Deve essere questo. Lo fa per il presidente. Per tenerlo al riparo. Bravo Sinner, meraviglioso Sinner, perfetto Sinner.
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