Reperto numero 1. Halle, match Sinner-Griekspoor. Jannik, durante lo scambio, prima si sposta scivolando sulla destra poi si esibisce in un passante in tuffo con capriola finale che gli consente di ritornare subito in posizione eretta. Reperto numero 2. Halle, ottavo di finale, match contro Marozsan. Jannik si ripete: due scivolate e capriola. Punto conquistato. Reperto 1-bis: Alberto Tomba, slalom speciale di Lech, 1994. La Bomba a metà percorso si pianta, è fermo ma riesce a entrare nella porta successiva girando con una gamba sola. Arriva in fondo e vince lo stesso.

Tre reperti per sostenere la tesi che nel numero 1 al mondo di tennis ci sia qualcosa del più grande sciatore che l’Italia abbia mai avuto? Non solo. In realtà le tre scene di cui sopra servono a sostenere che il Sinner vincente sulle superfici in erba è tale perché ha costruito la sua capacità di equilibrio e di recuperare la posizione migliore dopo una situazione di difficoltà proprio grazie al fatto di essere cresciuto sul bianco.

Ovvero di aver praticato lo sci e di aver imparato a gestire e rendere produttiva la scivolata su un suolo infido e mutevole: l’erba come la neve. A Wimbledon difenderà la semifinale dell’anno scorso e sarà dura visto che gli è toccato in sorte un tabellone severissimo: sull’erba del torneo sassone ha vinto pochi giorni fa.

Chi denigra

Gli otto millimetri di fili verdi che ricoprono i campi di Wimbledon sono un terreno che in pochi amano, fra i tennisti. Molti lo tollerano, qualcuno lo odia. Casper Ruud sostiene che l’erba «vada bene per il golf». In passato c’è stato chi ha sostenuto che in realtà, più che per i golfisti, sia il luogo ideale dove debbano pascolare le vacche e non atlete e atleti vestiti di bianco. Robert Twynam, il più celebre fra i giardinieri di Wimbledon non foss’altro perché John McPhee gli ha dato dignità di personaggio nel suo saggio “Tennis”, prima di godersi la pensione nel 1975, aveva diviso in tre categorie i tennisti che cercavano gloria “on grass”.

In primis gli “strusci”, quelli che eseguono il servizio che oggi si chiama foot-up richiamando il piede posteriore vicino a quello anteriore. Rob li detestava perché rasavano il terreno vicino alla linea di fondo disegnando continue mezzelune. I suoi demoni erano Borotra e Drobny. Poi c’erano i “pattini”, quelli che scivolavano in avanti almeno di un metro e che lui reputava “pericoli pubblici”. Infine c’erano le “zappe”: quelli tipo Kyrgios se giocasse ancora, che nei momenti di rabbia violentavano l’erba usando la racchetta come attrezzi per dissodare il terreno.

Chissà se Twynam avrebbe apprezzato uno come Sinner che, grazie al suo senso per la neve, volteggia scivolando in orizzontale, non solo in avanti, compiendo gesti che la stragrande maggioranza dei suoi compari non proverebbe nemmeno a immaginare: ma pure, come Tomba a Lech, trasforma l’improvvisa difficoltà in acrobazia produttiva. E quando si esibisce nella capriola pare che manco lasci il segno. Pur agli antipodi rispetto a quelli che Twynam amava (Rosewall, Emerson, Kramer: e non ebbe modo di ammirare Federer) Sinner è un nuovo tipo di erbaiolo che quei fili li comanda con leggerezza, non li calpesta con un certo odio.

Proprio perché è cresciuto scivolando fra i pali larghi del gigante dovendo fare i conti con le buche che si creano a fianco delle porte e con la neve che cambia nei diversi punti della pista. Quando la difficoltà cresceva Tomba zompava in aria, a Campiglio nell’84 pure saltellando sopra un palo che rotolava sotto gli sci. Sinner ha trasportato nel tennis quella stessa pratica evolvendola: dove gli altri rischiano di cadere o cadono davvero lui trova il metodo per schizzare in avanti e colpire la palla.

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Non che sia l’unico a tentare una gestione innovativa della scivolata e del salto su erba: il miglior Djokovic (presumibilmente non quello che vedremo all’opera in questa edizione dei Championships) è uno che avrebbe mandato Twynam al manicomio vista la tendenza e compiere “spaccate” che pure sull’erba tecnologica e iper-resistente di oggi lasciano il segno.

Pure Becker si staccava dal suolo per eseguire la volée, ma era un gesto singolo non il frutto di una strategia.

«In fondo Sinner ha lasciato lo sci e scelto il tennis perché aveva paura di farsi male» ha raccontato Andreas Schonegger, primo maestro di sci del bimbo Jannik. Il rosso ha deciso che sarebbe stato più divertente aprire una strada nuova: primeggiare nel tennis con le movenze dello sciatore. E ci è riuscito.

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