Pagherete caro, pagherete tutto. Un tempo lo slogan partiva dal basso e minacciava la vendetta del popolo contro tutti i poteri, visibili e occulti. Ma le cose cambiano, sicché adesso il principio si realizza in direzione rovesciata: dall’alto verso il basso, a colpire un popolo frammentato in nicchie di consumo specializzato.

Succede un po’ ovunque, specie nei mercati che regalavano l’illusione del low cost. E succede soprattutto nel mercato del calcio televisivo, un business che ha esaurito le prospettive di sviluppo e perciò ha un solo modo per mantenere in linea di galleggiamento i ricavi: continuare a caricare il prezzo degli abbonamenti.

Con la speranza che, al di là delle proteste, alla fine gli appassionati continuino a sottoscrivere i pacchetti perché proprio non possono rinunciare alla visione del campionato.

Ma è un calcolo dalle prospettive sempre più corte. Perché, se si guarda ai segnali che arrivano sia dal nostro paese che dall’estero, si individuano tutti i sintomi di una sorta di stanchezza televisiva. Sia i broadcaster che gli sponsor hanno compreso che i margini per l’abbuffata di calcio televisivo si sono esauriti e che serve scremare le competizioni su cui puntare gli investimenti.

Ancor più se ne rende conto chi, come Dazn, ha compiuto una scommessa quinquennale sul campionato nazionale. E adesso si trova a gestire un Gosplan che prevede lacrime e sangue per gli utenti.

Roba da ricchi

Quando in Italia si era all’alba del calcio a pagamento, con l’allora Tele+ che s’apprestava a criptare il segnale dei principali eventi sportivi e intanto poneva le basi per la Serie A in pay-tv, uno dei dirigenti della francese Canal+ espose il principio-cardine durante un’intervista rilasciata a uno dei giornaloni italiani: «Pagate, è democratico».

A oltre trent’anni di distanza viene da dire: «Democrazia, anche meno». Perché lo sport in pay tv ha un costo sempre più salato e proprio il calcio traina in alto la corsa dei listini prezzi. Che dal canto loro sono stati trasformati in un sudoku. Sempre più indecrifrabili, a parte l’elementare dato di fatto: non pagherete mai abbastanza.

Per capire basta scorrere i diversi piani tariffari. Si parte con Dazn e il suo piano Standard: 34,99 euro al mese che possono diventare 29,92 euro al mese se si paga in anticipo per un anno intero. Ma lo stesso piano costa 39,99 euro al mese se comprato via Google pagando in soluzione unica per un anno, che diventano 49,99 euro se il pagamento è mensile.

C’è poi il pacchetto Plus, da 59,99 euro mensili (che diventano 69,99 euro se l’acquisto avviene dallo store digitale Apple). La differenza rispetto al pacchetto precedente è che la visione degli eventi può essere fruita da più dispositivi collocati in luoghi diversi. Perché sì, può capitare anche di pagare quasi 70 euro al mese e dover sottostare a siffatte limitazioni.

E poi c’è un terzo pacchetto, Dazn Start, che permette di vedere “gli altri sport” per 11,99 euro al mese. Va segnalato che ai sottoscrittori di pacchetti che permettono di vedere l’offerta di calcio non è consentito fruire di alcuni eventi (match di discipline di combattimento, per esempio) senza pagare un ulteriore obolo.

Perché, evidentemente, pagare anche soltanto 34,99 euro al mese non è abbastanza.

Alza i prezzi anche Sky, che eleva il pacchetto Calcio (3 partite su 10 per ogni giornata di Serie A, più tutta la Champions League) da 5 a 7,99 euro mensili e il pacchetto Sport da 15,20 a 23,99 euro mensili.

E poi poi ci sarebbe anche Amazon, che trasmette in esclusiva per l’Italia un match per ogni turno di Champions League: 4,1 euro al mese (49,99 euro annui) per l’abbonamento a Prime Video. Dice che la pirateria uccide il calcio. Invece il portafoglio degli utenti pare interessare a nessuno.

Segnali inequivocabili

La visione del campionato di Serie A costa sempre di più perché sempre più costa produrla. Pagano gli utenti, ma non solo loro. Perché le risorse scarse che servono per finanziare i costi di produzione, intanto, vengono prelevati da altre voci di spesa. Quella che riguarda la Serie B, per esempio.

L’assemblea del 7 agosto non ha permesso di trovare una soluzione. L’ipotesi è che, alla fine, Sky e Dazn accettino di versare una mancetta da 13 milioni di euro. E si parla anche di un ingresso da parte di Amazon. Ma il mercato rimane asfittico.

E il rischio è che la gara fra Brescia e Palermo (16 agosto) possa inaugurare non soltanto la nuova stagione agonistica, ma anche quella dell’opzione “tv zero”.

Una situazione umiliante, comunque vada a finire (per esempio, con un probabile accordo al ribasso). Con la conferma che i vagoni di coda del calcio televisivo si apprestano a essere sganciati per mantenere gli investimenti su quelli di testa.

Del resto, già il caso francese avrebbe dovuto fare da monito. Il nuovo contratto per la Ligue 1 è stato firmato soltanto poche settimane fa, a meno di un mese dall’inizio della stagione. Con i club della massima serie che pretendevano di incassare 700 milioni di euro annui, ma si sono dovuti accontentare di 500 milioni.

Una cifra che, per di più, ha una composizione bizzarra: 400 milioni di euro li dà Dazn (che partiva da un’offerta da 375 milioni) per trasmettere 8 gare su 9 di ogni turno; gli altri 100 milioni annui li dà BeIN Sport, per trasmettere una partita di ogni turno.

Una cifra spropositata che è un’elemosina data al resto dei club di Ligue 1 da Qatar Sport Investments (e quindi dal Paris Saint Germain), che di beIN è proprietario.

La festa è finita da mò, e a spegnere le luci provvederanno le disdette degli abbonati.

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