Un groviglio di sigle. Fatture che rimbalzano da un conto bancario all’altro. Società dai patrimoni milionari investiti in immobili nella capitale. È questo il mondo di sotto illuminato dall’inchiesta della procura di Roma che martedì 15 ottobre ha portato all’arresto di Paolino Iorio, direttore generale del colosso pubblico Sogei.

Iorio, interrogato mercoledì 16, ha ammesso di aver incassato 100 mila euro di mazzette da Massimo Rossi, il manager a capo del gruppo Digital Value, che negli ultimi anni ha fatto incetta di appalti pubblici nel settore dei servizi informatici. Rossi, questo è il sospetto dei magistrati, tirava le fila di un sistema ben oliato che gli ha aperto le porte dello Stato Maggiore della Difesa dove poteva contare sulla collaborazione, generosamente remunerata, di un capitano di Marina, Antonio Angelo Masala.

Tutto in famiglia

Per muovere il denaro delle mazzette, Masala si è servito di schermi societari e prestanome. Alla fine, però, gran parte del denaro è affluito sui conti della Building Vamp, una srl con sede a Roma controllata da Valentina Patrignani, la moglie di Masala. E infatti, come ha scoperto Domani, negli ultimi tre anni Building Vamp ha fatto investimenti milionari in immobili.

L’ultimo acquisto risale al maggio scorso, un grande appartamento nel centro di Roma per 1,1 milioni, che va ad aggiungersi ad un’altra casa e due box nella capitale, oltre a terreni e altri fabbricati sul lago Trasimeno. Nel luglio scorso invece, come si legge nel bilancio, la società amministrata dalla moglie di Masala ha rilevato il 20 per cento di Asquare Primelux, un’altra srl che di recente ha trasferito la sede sociale da Roma a Bolzano.

Non è chiaro di che cosa si occupi questa società con soli 10 mila euro di capitale. Tra i soci, con una quota del 20 per cento, compare però Amato Fusco, un nome che ci riporta all’indagine romana. Fusco, infatti, altri non è che il funzionario del ministero dell’Interno anche lui indagato per aver favorito le aziende di Rossi e anche la Olidata di Cristiano Rufini, un altro manager coinvolto nell’indagine.

La lista degli appalti

Il filo rosso degli affari unisce quindi Masala a Fusco, in servizio alla Direzione dei servizi logistici della Polizia di Stato e più volte intercettato dalla Guardia di Finanza mentre discuteva di appalti con Rossi. Un manager, quest’ultimo, di casa nelle stanze di enti, ministeri e aziende pubbliche.

Domani ha verificato che Italware, la principale società operativa controllata dal gruppo Digital Value di Rossi, negli ultimi anni ha siglato contratti in serie con il ministero della Giustizia (22 appalti per un valore economico di 37 milioni), con quello del Turismo (13 contratti, 18 milioni), con il ministero dell’Interno (28 contratti, 2,63 milioni), con la Farnesina (20 contratti per 5,51 milioni) e col ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (23 contratti, 14 milioni). Si sono affidati a Italware anche Consip, Banca d’Italia, Poste Italiane, la Prefettura di Milano, il Comune di Roma e l’Anas. Infine, nel lungo elenco dei clienti dell’azienda di Rossi compare anche l’Agenzia per l’amministrazione dei beni sequestrati alla mafia.

Crollo in Borsa

Un appalto tira l’altro e il giro d’affari è cresciuto di conseguenza. Il bilancio 2023 di Digital Value gronda profitti per 38,3 milioni su ricavi di 846 milioni, aumentati di quasi il 20 per cento nell’arco di un anno. Una crescita brillante, tanto che a settembre l’azienda di Rossi ha presentato un’offerta per comprare Italtel, marchio storico dell’industria italiana. Com’era prevedibile, la notizia dell’inchiesta giudiziaria ha provocato il crollo in Borsa dei titoli Digital Value, ieri in ribasso di oltre il 70 per cento.

È andata un po’ meglio a Olidata (meno 15 per cento da martedì), che secondo la ricostruzione degli investigatori si era di fatto messa in scia alla Italware di Rossi per ottenere appalti a suon di mazzette grazie a Masala e Fusco. L’elenco dei clienti della società di Rufini comprende il ministero della Difesa (contratti per 4,14 milioni), quello dell’Interno (2,71 milioni), passando lo Stato maggiore dell’Esercito (1,33 milioni), fino al ministero della Giustizia (1,15 milioni) e a quello del Lavoro (un milione). Tra i soci di Olidatada, si legge nelle carte giudiziarie, compare anche la moglie di Masala, che avrebbe rilevato il 4,8 per cento del capitale, una quota che prima del crollo in Borsa valeva oltre 3 milioni di euro. «Sarà chiarita la trasparenza delle nostre azioni», ha dichiarato martedì Rufini, reduce da uno scontro tutto interno all’azienda con tanto di causa in tribunale concluso con l’uscita di scena di buona parte del vecchio consiglio di amministrazione, compreso il presidente Andrea Peruzy, manager pubblico di lungo corso, in passato anche a capo della Fondazione ItalianiEuropei di Massimo D’Alema.

Risulta ancora in carica, invece, Saverio Capolupo, l’ex comandante della Guardia di Finanza scelto da Rufini per guidare l’Organismo di vigilanza che in base alla legge 231 ha compiti di controllo per evitare condotte fraudolente da parte dei vertici societari.

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