Da quarantaquattro anni l’orologio nell’ala ovest della stazione di Bologna è fermo alle 10.25. Non è rotto, è solo fermo. E lo è per fare memoria, per ricordare che il 2 agosto 1980, a quell’ora, 85 persone sono morte e 202 sono rimaste ferite per l’esplosione della bomba al plastico che trasformò lo scalo del capoluogo emiliano in una trappola mortale.

Oggi, dopo anni di indagini, processi difficilissimi e continui depistaggi, si conoscono i nomi degli esecutori materiali del più grave attentato terroristico nella storia della democrazia italiana. Ma c’è chi fa ancora fatica ad accettarne la matrice neofascista.

Per la strage di Bologna sono stati condannati, con diverse sentenze definitive, i terroristi neri Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Ai tre si aggiunge Gilberto Cavallini che a settembre dello scorso anno ha incassato la condanna all’ergastolo anche in appello. Tutti e quattro sono stati membri dei Nuclei armati rivoluzionari, i Nar, l’organizzazione della destra eversiva attiva già prima dell’attentato di Bologna, e cioè dal 1977. Tutti e quattro, prima di abbracciare la lotta armata, hanno militato nel Fronte della gioventù e nel Movimento sociale italiano.

Le pronunce dei giudici dicono, inoltre, che esecutore materiale della strage fu pure Paolo Bellini, già camerata di Avanguardia nazionale e poi sicario della ‘ndrangheta: per il “quinto uomo” la condanna all’ergastolo da parte della Corte d’assise d’appello di Bologna è di un mese fa. Dietro tutti loro, i mandanti: dirigenti dei servizi e la P2 di Licio Gelli, che secondo la procura di Bologna ha finanziato l’attentato che ha fatto più morti nella storia del Paese.

Negazionismo

Una verità giudiziaria che qualcuno fatica ad accettare. Una verità giudiziaria che crea imbarazzo nella destra di governo, “erede” del Movimento sociale italiano, in cui militarono appunto gli attentatori della stazione. «La macchia di questa strage è così grande, così profonda, che nessuno vorrebbe averla», dice a Domani Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna: «È penoso che in molti continuino a negarne la chiara matrice neofascista e a parlare di fantomatiche piste internazionali o palestinesi: chi governa dovrebbe semplicemente accettare quella “comune militanza” e discostarsi dalla strage. Al contrario, abbiamo solo silenzio».

Un modo come un altro per dire che anche quest’anno alle commemorazioni ufficiali dell’attentato del 1980 sarà il ministro Matteo Piantedosi – prefetto e viceprefetto per lungo tempo in territorio bolognese – a partecipare anche per conto della premier Giorgia Meloni, che in riferimento alla strage ha sempre chiesto di far luce sulla «verità».

«Verità» che, nonostante sia stata accertata dai giudici e dalle loro sentenze, chiedono anche i vertici di Gioventù nazionale, movimento giovanile di Fratelli d’Italia. «La strage di Bologna rappresenta uno dei colpi più feroci sferrati dal terrorismo al cuore dell’Italia. Il primo pensiero va sempre alle vittime e alle loro famiglie, anche per la loro forza e determinazione messa al servizio della ricerca della verità.

La verità emersa dalle sentenze, che tutti riconosciamo e rispettiamo, identifica mandanti, autori e depistaggi identificati negli ambienti dell’estrema destra. Oggi come richiesto dalle associazioni dei familiari delle vittime rimane di fare luce su alcune zone d’ombra rimaste, perché raggiungere la completa verità è un dovere morale per tutti anche a 44 anni di distanza», dice a questo giornale Fabio Roscani, presidente nazionale di Gn e deputato di Fratelli d’Italia.

Una posizione che appare “cauta”. Basti pensare che nel 2020 Azione studentesca, il movimento di estrema destra di cui Meloni è stata responsabile nazionale, scriveva sui social «Nessuno di noi era a Bologna»; e ancora: «La verità trionfa da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici». Confrontando, pertanto, le due “posizioni” sembrerebbe che attualmente la volontà (o il diktat) sia probabilmente quella di non aprire alle polemiche sullo stesso attentato.

Del resto da Gioventù nazionale Bologna solo silenzio. Il coordinamento, contattato da Domani, ha preferito non rilasciare dichiarazioni. Ancora una volta parlare significherebbe forse rinnegare la propria storia oppure scivolare nel revisionismo delle sentenze.

Verità scomode

Anche il deputato di Fratelli d’Italia, Alfredo Antoniozzi, ha scelto la strada del silenzio (al pari degli esponenti di FdI Bologna). Non ha risposto alle chiamate di Domani, che avrebbe voluto approfondire la proposta di legge (e il suo iter) che l’onorevole, figlio del democristiano Dario, ha presentato come primo firmatario nel 2023 al fine di istituire una commissione di inchiesta sul terrorismo e sulle stragi avvenute in Italia dal 1953 al 1992. Tra gli altri firmatari della proposta c’è anche Federico Mollicone, pezzo grosso del partito della premier e strenuo sostenitore della tesi innocentista per i terroristi neri.

La proposta di Antoniozzi la commenta invece Francesco Giubilei, presidente della fondazione Tatarella e direttore scientifico della Fondazione Alleanza nazionale: «Le sentenze vanno sempre rispettate, in particolare quando si tratta di momenti drammatici come la strage di Bologna. La proposta di promuovere una nuova commissione parlamentare di inchiesta su terrorismo e stragi non è un tentativo di revisionismo storico, bensì la volontà di indagare più a fondo episodi tragici della storia repubblicana.

Ogni azione istituzionale volta a far luce sui tanti aspetti ancora non chiari di quel periodo storico non può che essere accolta positivamente sia che provenga da governi di centrosinistra, come in passato, sia di centrodestra, come oggi». Torna, insomma, la parola “verità”, questo bisogno di chiarezza davanti a pronunce ormai incontrovertibili.

I tesserati e le bombe

Sulla strage di Bologna è incentrato il libro di Paolo Biondani, La ragazza di Gladio e altre storie nere. La trama nascosta di tutte le stragi. Nel volume il giornalista dell’Espresso racconta le verità innegabili (dimostrate nei processi) sull’eversione targata Ordine nuovo. Da Piazza Fontana a Bologna, appunto, fino alle bombe “fascio-mafiose”. «Su Bologna», spiega Biondani a Domani, «non c’è mai stata una netta presa di distanza, considerato che parte della destra istituzionale parla di false piste internazionali.

Viene da pensare che questo rifiuto della verità giudiziaria dipenda dal fatto che l’ala stragista fosse dentro a Ordine nuovo, corrente dell’Msi. L’anno scorso anche il presidente Mattarella ha parlato di “matrice neofascista” e di “ignobili depistaggi, cui hanno partecipato associazioni segrete e agenti infedeli di apparati dello Stato”. Parole fondamentali. Ma sembrerebbe che molti non le accettino».

Parole che in molti, infatti, avrebbero preferito non ascoltare. Come avrebbero preferito (e preferiscono) non leggere quelle incise sulla lapide nella stazione di Bologna. «Vittime del terrorismo fascista», è la frase che campeggia sul marmo. Per mano fascista, dunque, persero la vita mogli, madri, figli, mariti, padri.

Tra loro anche due fidanzati di Birmingham, John Andrew, di ventidue anni, e Catherine, anche lei ventiduenne, che nel 1980 sognavano di attraversare l’Europa, partendo con lo zaino in spalla. La coppia era in stazione a Bologna per aspettare un treno. Ma il 2 agosto di quarantaquattro anni fa l’ordigno militare fermò per sempre quel loro viaggio di un’estate che sembrava invincibile.

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