L’indagine della procura di Firenze con la Dia è stata riaperta sulla base delle dichiarazioni del boss Giuseppe Graviano. Non è un pentito, ma ha fatto alcune dichiarazioni
Perquisizioni nelle abitazioni di presunti fiancheggiatori dei boss stragisti Filippo e Giuseppe Graviano nell’ambito dell’inchiesta della procura di Firenze sui mandanti esterni alle stragi del 1993 che insanguinarono l’Italia dopo la stagione delle bombe in Sicilia. I controlli degli investigatori sono in corso a Rovigo, Roma e Palermo.
L’indagine è quella che vede ancora indagati Silvio Berlusconi e l’ex senatore Marcello Dell’Utri, già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, come presunti mandanti degli attentati sul continente. Indagine che si origina dalle dichiarazioni di Giuseppe Graviano nel corso dei colloqui in carcere con il compagno di cella Umberto Adinolfi.
Lo scorso marzo proprio Domani aveva rivelato di un’intensa attività investigative fra Firenze e la Sicilia, inseguendo tracce lasciate dai soldi, il pretesto per indagare sui massacri. Di questo impegno particolarmente gravoso dei pubblici ministeri fiorentini vi è perfino testimonianza all'inaugurazione dell'anno giudiziario del capoluogo toscano del gennaio scorso, stralci di relazioni dedicati alle incombenze degli uffici requirenti: «La distrettuale antimafia di Firenze, è tuttora impegnata nella complessa e delicata attività di indagine volta a chiarire i punti ancora oscuri delle stragi di mafia». Più chiaro di così non si può.
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Le parole di Graviano
L'inchiesta è aperta dal procuratore capo della repubblica di Firenze Giuseppe Creazzo, dal sostituto Luca Turco e dal procuratore aggiunto Luca Tescaroli, un pm che ha “il sapere” sulle stragi del '92 e del '93.
Alle “dichiarazioni” di Graviano, confidate ad Adinolfi, seguono indagini. Ma cosa dice, in sostanza, di così clamoroso “Madre Natura” dal 2016 al 2017 durante l'ora di socialità? Premesso che Graviano è un mafioso, premesso che Graviano in quanto mafioso è maestro di doppi e tripli giochi, premesso che Graviano in quanto Graviano sa benissimo che in carcere ogni suo sospiro viene catturato dalle “cimici", ecco cosa ci fa sapere.
Primo: «Lo volevano indagare…Berlusca mi ha chiesto questa cortesia.. per questo è stata l’urgenza».
Secondo: «Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa». La decifrazione che ne fanno gli inquirenti è questa.
«Voleva scendere» rimanda all’idea di Berlusconi di scendere in politica già prima del 1994. «Ci vorrebbe una bella cosa» rimanda all’idea di una strage per destabilizzare, in modo da favorire l’arrivo dell’“uomo nuovo”. La «cortesia» rimanda al «colpo di grazia» di cui parla anche il pentito Gaspare Spatuzza. Il «colpo di grazia» è un'altra strage. Berlusconi e Dell’Utri si dicono «inorriditi» per tale sospetto avanzato nei loro confronti, per gli avvocati che li assistono «è un'infamante ricostruzione», da più parti si grida allo scandalo per un'inchiesta infinita che ha come bersaglio permanente la coppia brianzola-palermitana che dal niente ha conquistato l'Italia. Graviano non è un pentito e non è un imputato qualunque, è un mafioso, anzi è il mafioso che più di ogni altro - insieme a Riina - quelle stragi le ha volute.
È un mago nel mescolare il vero e il falso, giocoliere delle mezze parole. Così si arriva fino al novembre scorso, quando lo interrogano nel carcere di Terni e lui, per la prima volta, risponde. È di qualche settimana fa la notizia della sua decisione di dissociarsi, approfittando delle sentenze della Corte di Strasburgo e quelle della Corte costituzionale che apre ai permessi premiali ai boss. Il suo obiettivo è uscire dal carcere. In un modo o in un altro. Non è la prima volta che i pubblici ministeri indagano su questa pista.
Le precedenti indagini
È passato più di un quarto di secolo da quando sono diventati “Alfa” e “Beta” a Caltanissetta e “Autore 1” e “Autore 2” a Firenze, sigle per coprire l'identità di uomini molto importanti, uno nientemeno che a capo del governo italiano. Ancora prima, a Palermo, erano stati anche “M” e “MM” in compagnia di un certo "MMM“ che come occupazione temporanea aveva quella di stalliere, a tempo pieno invece faceva il mafioso della famiglia di Porta Nuova e ad Arcore badava ai “cavalli”. Scritto proprio così: con le virgolette.
Chissà se oggi, Silvio Berlusconi e il suo fedele amico Marcello Dell'Utri sono stati inseriti nel registro degli indagati “per concorso in strage” - e ancora una volta a Firenze - con i loro veri nomi o con qualche altra abbreviazione o monogramma che nasconda le generalità, chissà come diavolo li hanno chiamati per investigare su di loro e intorno a loro per le bombe mafiose del 1992 e quelle “in Continente” del 1993. Non lo sappiamo, sappiamo però che quest'ultima inchiesta non è come le altre.
Non sappiamo neanche se finirà con un’archiviazione, come è successo già quattro volte in passato, o con una richiesta di rinvio a giudizio come qualcuno sussurra, sappiamo però che - mai come ora - le indagini sugli attentati di Firenze e Roma e Milano, sono a un punto dove non erano mai arrivate e le perquisizioni raccontano di una febbrile attività di verifica.
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