Nell’ultima udienza del processo per la gestione della “discarica Vergine”, la procura ha chiesto la condanna di tre imputati, contestando il disastro ambientale. È il risultato delle denunce di un gruppo di cittadini che da 15 anni chiede la bonifica e la chiusura del sito, ma che invece ora potrebbe riaprire per volontà del nuovo gestore
«Le dichiarazioni delle parti civili appaiono fondate su percezioni soggettive, che possono essere state ingigantite da psicosi più o meno collettive». Con queste parole il presidente della Corte d’Appello di Taranto, Antonio Del Coco, aveva assolto qualche anno fa i gestori della discarica Vergine nel processo che era nato dal sequestro del sito disposto dai carabinieri del Noe. L’impianto, come già raccontato da Domani, ha raccolto qualche milione di tonnellate di scarti dell’industria italiana, farmaceutica, petrolifera, siderurgica e tessile.
Le parti civili a cui si riferiva il giudice Del Coco erano gli attivisti e le attiviste dell’associazione Attiva Lizzano, che negli ultimi 15 anni hanno organizzato decine di manifestazioni, scioperi, blocchi stradali, centinaia di assemblee pubbliche e incontri di sensibilizzazione anche con le scuole ma, soprattutto, denunciato agli inquirenti gli effetti nefasti sulla salute degli abitanti, in particolar modo sui bambini, di quella che oggi è una bomba ecologica, che fu autorizzata nei primi anni del 2000 dall’allora presidente della regione Puglia, Raffaele Fitto.
Ora, però, mentre si sta svolgendo al tribunale di Taranto un nuovo processo nei confronti degli ex gestori, Paolo Ciervo, Pasquale Moretti e Mario Petrelli, accusati dalla procura di «aver provocato un disastro ambientale attraverso l’alterazione di un ecosistema, per effetto della contaminazione delle acque sotterranee determinata dal percolato della discarica», con la sentenza di primo grado che dovrebbe arrivare entro l’estate, è arrivata per la prima volta una conferma in sede giudiziaria ai timori rappresentati dall’associazione.
Nel corso dell’ultima udienza che si è celebrata il 9 aprile scorso, infatti, la pm Filomena di Tursi ha chiesto la condanna degli imputati a due anni di reclusione, contestando il disastro ambientale e al termine di una lunga requisitoria in cui ha richiamato più volte come prove decisive del disastro gli esposti presentati da Attiva Lizzano.
Disastro
Siamo a Lizzano, all’interno di un fazzoletto di terre dove nonostante la xylella svettano ancora ulivi millenari, a pochi chilometri dalla masseria di Bruno Vespa dove ogni estate il giornalista porta mezzo governo a soggiornare. Qui si gioca da tempo, sul pattume, una partita di molti affari all’interno di un paesaggio storico e naturalistico millenario, e sulla pelle delle donne e degli uomini che abitano all’interno di cinque piccoli comuni: Faggiano, Fragagnano, Monteparano, Roccaforzata, Lizzano, appunto, che si affacciano tutti sulla discarica Vergine.
Giovanni Gentile è il presidente dell’Associazione che si è costituita parte civile anche in questo giudizio attraverso l’avvocato Francesco Nevoli, e racconta a Domani: «In questa battaglia siamo stati capofila e abbiamo dato un enorme contributo al processo con le relazioni dei nostri consulenti di parte, dai documenti che sono agli atti, infatti, appare del tutto chiaro che l’agricoltura e la zootecnia non hanno avuto alcun impatto sull’area in questione, come invece hanno sostenuto i periti degli imputati».
Aggiunge Gentile: «Siamo riusciti a dimostrare che la contaminazione dell’acqua di falda in quell’area è stata causata solo ed esclusivamente dalla discarica Vergine».
«La situazione ambientale è talmente grave che l’attuale gestore della discarica non è ancora riuscito a terminare gli interventi di messa in sicurezza di emergenza, malgrado i lavori siano avviati ormai da anni. Anzi, di recente tre funzionari di Arpa Puglia, arrivati sul sito per un controllo di routine, si sono sentiti male finendo al Pronto Soccorso, uno ha persino rischiato la vita, a causa delle esalazioni nauseabonde prodotte dalla discarica», ha spiegato durante una delle udienze del processo l’avvocato di parte civile, Franesco Nevoli. Ma c’è di più.
Rischi
Ancora oggi, a oltre 10 anni di distanza dalla chiusura della discarica Vergine, «le popolazioni della zona continuano a inviarci segnalazioni, spesso anonime, dichiarando di non poter uscire da casa in alcune ore della giornata in particolare per gli odori nauseabondi che da lì provengono», racconta una fonte all’interno dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale.
Nel frattempo, però, la discarica Vergine potrebbe riaprire. È la volontà di Antonio Albanese, amministratore della Lutum Srl e vice-presidente di Confindustria Taranto che ha acquistato gli impianti dopo il sequestro del 2014 e che ha chiesto alla provincia di Taranto l’autorizzazione integrale ambientale. Per ora, è arrivato il parere dell’Arpa, secondo il quale, «l’istanza della Lutum s.r.l. di riattivazione di un’installazione con titolo autorizzativo revocato risulta improcedibile e pertanto si chiede a codesta amministrazione provinciale di rigettarla».
Nel frattempo, ci sarà da capire quanto influenzerà nel procedimento autorizzativo una eventuale dichiarazione di disastro ambientale nel processo penale. Per ora quello che è certo sono le parole pronunciate nel 2010 dalla pediatra del comune di Lizzano, Antonietta D’Oria, ai parlamentari della Commissione parlamentare di inchiesta sul traffico dei rifiuti che erano in missione a Taranto: «il fenomeno del “wheezing”, l’asma del bambino, a Lizzano è presente nelle stesse percentuali con cui è presente tra i bambini di Taranto che vivono sotto le ciminiere dell’Ilva».
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