Nel finale di stagione si stanno affermando due giocatori che hanno nella potenza del servizio la loro caratteristica principale, fino quasi ad annullare le altre: sono il britannico Jack Draper e soprattutto il francese Giovanni Mpetshi Perricard, vincitore del torneo di Basilea con 109 ace in cinque giorni, a 240 km orari. Gli effetti sul gioco, i precedenti e l’incognita sulla tenuta della spalla
Che sia un fenomeno figlio dei tempi? Quando si analizzano gesti tennistici la tentazione di attribuire loro significati antropologici è sempre forte. Ma se si deve affrontare il tema del servizio è quasi inevitabile. Cos’è un servizio se non un’esplosione di potenza anche quando è dotato di tagli ed effetti che provocano rimbalzi altissimi? Il pensiero che in questi nostri tempi un’esplosione di potenza possa essere più apprezzata più che in altri momenti della storia recente è forte. È come se la forza, non certo nel senso starwarsiano del termine, incarni oggi il mood che contraddistingue i giorni che viviamo. E il servizio ne è un simbolo perfetto specie se a eseguirlo è un ragazzo francese di oltre cento chili e alto più di due metri che serve la prima a 240 chilometri orari e la seconda a poco meno. E che in questo finale di stagione si è candidato, con il britannico Jack Draper (fresco vincitore a Vienna), al ruolo di capofila di quel gruppo di giovani assai rampanti che nei mesi a venire, contrasteranno il dominio del magico duo Sinner&Alcaraz.
Chi è
Lui si chiama Giovanni Mpetshi Perricard, ha vinto a Basilea ed è impegnato a Bercy, dove al primo turno ha superato dopo un durissimo combattimento Frances Tiafoe. Nel torneo svizzero ha messo a segno 109 ace in cinque giorni. Ha concesso agli avversari due palle break e le ha annullate. Il suo è l’ultimo grado dell’evoluzione del gesto: è il super-servizio che gli è valso l’appellativo di servebot, la macchina da ace. E dato che la sorte spesso ha fantasia ecco che la sua epifania si è palesata proprio nei giorni di Bercy dove il servizio visse invece nel 1993 una delle sue giornate più tristi.
Su questi stessi campi Goran Ivanisevic stava completando il suo cammino vincente nella finale contro l’ucraino Andrej Medvedev. Aveva battuto in sequenza Chang, Sampras e Edberg, tutti a colpi di prime palle di servizio. Prassi che confermò, migliorandola, in finale, quando mise a segno 27 ace.
Il pubblico di Bercy (che non ha la stessa composizione di quello di Roland Garros, è simile, ma i suoi ululati al chiuso rimbombano di più) non accolse bene quella manifestazione di potenza e prese a manifestare ogniqualvolta Goran scagliava una prima imprendibile per Andrej.
Una selva di fischi che da un lato esprimevano la delusione per l’assenza di show; dall’altro il timore che quella tendenza allora rivoluzionaria diventasse la norma, la realtà del tennis.
I precedenti
Non che prima non fossero comparsi grandi servitori: Butch Walts, Roscoe Tanner (una finale di Wimbledon) lo stesso Boris Becker – che accoppiando a una efficacissima prima di servizio univa un afflato che lo portava verso la rete anche in condizioni improponibili per altri. Goran era di più, era il singolo gesto che diventava dominante e divorava tutte gli altri movimenti che compongono la bellezza del tennis.
Gli ululati cessarono a fine match. Un grande giornalista francese che seguiva le vicende di questo sport, Philippe Bouin, si lasciò andare ad una previsione: «Un giorno il pubblico del tennis potrebbe essere tutto come quello di Bercy. E sarà simile a quello del basket Nba o del wrestling». Aveva ragione.
Il serbo Petar Popovic è stato per anni l’allenatore di un altro servebot: Ivo Karlovic, numero 14 al mondo nel 2008 come migliore classifica. Ora lavora con Andrea Petkovic. Ivo era un non-creativo, non brillava per genio dopo aver eseguito la prima di servizio. Tuttora è in possesso del record di velocità di prima palla con 251 km orari. È passato alla storia per essere stato a lungo senza sponsor tecnico a causa della sua non particolare avvenenza estetica.
Cose che succedono nell’articolato mondo del tennis. Popovic sta scrutando da tempo i miglioramenti di Giovanni ed è giunto a una conclusione: «Giocare contro di lui è davvero un inferno. Qualche somiglianza con Ivo c’è ma soprattutto nei risultati: in realtà Giovanni è più rapido nei movimenti, più esplosivo. E quando esce dal servizio sa cosa fare». In più, ed è un dato da tenere nella giusta considerazione, serve mediamente la seconda palla nelle rare occasioni in cui gli succede alla velocità di 213 km l’ora. Sei il suo avversario, sei sopravvissuto alla prima, pensi di essere salvo e ti arriva addosso un colpo solo un po’ più lento di quello che pensavi di avere evitato.
Sotto il profilo psicologico c’è ancora molto da lavorare, ma se Giovanni continuerà su questa strada, Jannik&Carlos avranno il loro bel daffare per arrestarne la progressione.
Gli ispiratori
L’avvento del superservizio è stato annunciato negli anni da altri tennisti che avevano qualcosa in comune con Perricard. Riccardo Piatti ha lavorato per un lungo periodo con Milos Raonic, il canadese già top-ten era stato visto anche come un possibile vincitore di titoli Slam.
Quando Milos sbarcò all’Accademia di Bordighera, Piatti lo osservò con molta pazienza. E dopo averne analizzato i movimenti ne trasse una conclusione che raccontò così: «Milos serviva fortissimo ma non aveva la più pallida idea di dove indirizzava la palla. Tirava forte, bum, e tanto bastava o doveva bastare. Se la palla gli tornava più o meno se la cavava ma trovavo assurdo che uno capace di scagliare un servizio dopo l’altro sopra i 200 l’ora non sapesse dove indirizzare il servizio».
Se c’è un ispiratore del super gesto di Giovanni forse questi si può trovare in John Isner, l’americano noto ai più per essere stato il coprotagonista della partita più lunga di tutti i tempi, tre giorni per completare il match, a Wimbledon nel 2010 con il francese Mahut dall’altra parte della rete. Ed è a Isner che Perricard si è ispirato soprattutto per imparare la seconda palla a uscire, lanciata però a velocità siderali. Anche se un avversario risponde adeguatamente, compiendo un paio di passi in avanti, grazie a un facile dritto lui può conquistare il punto. Giovanni lo fa. Sempre.
Un tale colosso potrà davvero diventare l’antagonista degli splendidi due o come tutti coloro che hanno quel tipo di fisico prima o poi accuserà guai che freneranno la sua ascesa? Per provare a indovinarlo bisogna soffermarsi sui suoi movimenti. Charles Goven, teorico del tennis e commentatore per Eurosport Francia, disegna così la situazione: «Giovanni non colpisce la palla nel punto più alto del suo lancio, ma quando sta ancora salendo. Una meccanica eccezionale, molto personale. È velocissimo a far scattare in avanti la spalla. Prepara, decide, colpisce».
Eccolo il punto potenzialmente dolente: la spalla. Quanto resisterà Giovanni prima che inizi a fargli fastidio? Potrebbe rivelarsi la sua debolezza e sarà interessante provare a leggere la prossima stagione guardando i limiti. Quale difetto influenzerà più i risultati del 2025? La spalla a rischio di Perricard, la tenuta psicologica di Alcaraz, le crisi di stanchezza di Sinner?
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