Le autorità italiane mettono a rischio la vita degli abitanti della Terra dei Fuochi, l’area campana coinvolta negli scorsi decenni nell’interramento di rifiuti tossici. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani, che ha condannato il nostro paese. «Pur riconoscendo la situazione, non ha preso le dovute misure», hanno scritto i giudici nella sentenza definitiva. 

«Lo stato italiano non ha risposto alla gravità della situazione con la diligenza e la rapidità richieste, nonostante fosse a conoscenza del problema da molti anni», si legge ancora. 

La Cedu ha stabilito che l’Italia deve introdurre, senza indugio, misure generali in grado di affrontare in modo adeguato il fenomeno dell’inquinamento in questione. E ha concesso due anni di tempo per «sviluppare una strategia globale per affrontare la situazione, istituire un meccanismo di monitoraggio indipendente e una piattaforma di informazione pubblica».

La sentenza è definitiva

Il rischio per la vita dei cittadini è «sufficientemente grave, reale e accertabile» e può essere qualificato come «imminente». I giudici, inoltre, ritengono che «non ci siano prove sufficienti di una risposta sistematica, coordinata e completa da parte delle autorità nell’affrontare la situazione della Terra dei Fuochi». 

La Cedu evidenzia che i progressi nel valutare l’impatto dell’inquinamento sono stati lenti, quando invece occorreva celerità. Inoltre indicano che lo stato non è stato in grado di dimostrare di aver compiuto tutte le azioni penali necessarie per combattere lo smaltimento illegale di rifiuti in quell’area. 

«Data l’ampiezza, la complessità e la gravità della situazione, era necessaria una strategia di comunicazione completa e accessibile, per informare il pubblico in modo proattivo sui rischi potenziali o reali per la salute e sulle azioni intraprese per gestire tali rischi.

Questo non è stato fatto. Anzi, alcune informazioni sono state coperte per lunghi periodi dal segreto di stato», è quanto scritto nella sentenza che presenta i ricorsi di 41 persone e cinque associazioni. 

Nel prendere la decisione la Corte ha accettato solo in parte le obiezioni del governo e ha rigettato i ricorsi di alcune associazioni, perché ha ritenuto che non siano «direttamente interessate» al pericolo, e di alcuni cittadini, perché mancano prove sufficienti che vivessero in aree interessate dal fenomeno dell’inquinamento. 

Il processo va avanti da anni

Il processo per lo scandalo Terra dei fuochi era iniziato nel 2019. La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo aveva dato il via al procedimento contro lo stato italiano per aver violato il diritto alla vita dei propri cittadini e aveva accolto in via preliminare i ricorsi – ne furono presentati ben 3.500 tra il 2014 e il 2015 – di cittadini e associazioni delle province di Napoli e Caserta.

Secondo i ricorrenti, molti dei quali hanno subito lutti in famiglia a causa del cancro, lo stato non aveva preso misure per ridurre il pericolo, nonostante fosse consapevole del rischio reale e immediato per la salute dei cittadini. La Corte aveva chiesto al governo italiano una serie di informazioni per poter accertare la fondatezza dei ricorsi e per capire di quali violazioni si trattasse. 

In quelle zone vivono circa 2,9 milioni di persone. Nell’area interessata è stato osservato un aumento dei tassi di cancro e dell’inquinamento delle falde acquifere. 

Le reazioni

«Quante calunnie abbiamo dovuto subire; quante minacce; quante derisioni; quante offese; quante illazioni. I negazionisti, ignavi, collusi, corrotti, ci infangavano. Siamo andati avanti. Convinti. Vedevamo con i nostri occhi lo scempio delle nostre terre e delle nostre vite», ha detto don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, in provincia di Napoli, commentando la sentenza.

Parla di «sentenza di portata storica», l’avvocata Valentina Centonze, che ha istruito il caso. «Non solo perché accerta la violazione del diritto alla vita, e dunque che ci sono state delle attività omissive da parte dello Stato italiano, ma anche perché sono state date delle prescrizioni allo Stato italiano. La Corte è scesa nel merito e ha individuato le attività che lo Stato dovrà approntare per garantire la tutela dei cittadini», ha detto Centonze.

«Non ci sono più scuse per non agire nei confronti di un’emergenza ambientale di proporzioni mastodontiche», è invece il commento di WWF Italia. «Chiediamo alle istituzioni di rispettare quanto disposto dalla Corte e di avviare immeditatamente un piano straordinario di bonifica e contrasto ai crimini ambientali, con azioni concrete per tutelare la salute e l'ambiente e restituire ai cittadini di quest’area, troppo a lungo martoriata da un inquinamento criminale, un futuro più sicuro. Siamo impegnati da anni sul campo nella lotta contro questa emergenza, per informare l'opinione pubblica e denunciare alle autorità le gravi irregolarità nella gestione dei rifiuti nell'area. Le Guardie volontarie del WWF continuano a essere protagoniste in provincia di Caserta di un costante monitoraggio del territorio».

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