L’ex presidente della regione Liguria, Giovanni Toti, ha deciso di patteggiare nell’inchiesta per corruzione con la quale è finito ai domiciliari lo scorso maggio. Toti ha raggiunto l’accordo con la procura per patteggiare due anni e un mese. Ora spetterà al gup decidere in merito che dovrà fissare una udienza,

La pena che Toti ha chiesto di patteggiare con la procura verrà sostituita con lavori socialmente utili per 1.500 ore. Nell'accordo tra i pm e l'avvocato Stefano Savi è prevista anche l'interdizione temporanea dai pubblici uffici e l'incapacità di contrattare con le pubbliche amministrazioni per la durata della pena, oltre la confisca di 84.100 euro. I reati patteggiati sono corruzione impropria e finanziamento illecito.

«Nell'accordo tra i procuratori e la difesa dell'ex governatore l'accusa riconosce che Toti non ha mai usufruito personalmente delle somme raccolte dal suo comitato politico, utilizzate solo per le attività politiche», ha detto in una nota il suo legate Stefano Salvi. «Si riconosce anche che gli atti prodotti dalla pubblica amministrazione fossero totalmente legittimi, così come i versamenti sotto forma di contributi all'attività politica. Cadono quindi le accuse di corruzione e le altre ipotesi di reato, con l'esclusione della cosiddetta corruzione impropria, ovvero per atti legittimi degli uffici».

L’ex governatore ligure era stato arrestato lo scorso maggio in un’inchiesta che ha visto coinvolti anche imprenditori e altri esponenti politici. I domiciliari gli sono stati revocati lo scorso 31 luglio a quattro giorni dalle sue dimissioni da presidente di regione. Toti ha così rinunciato a qualsiasi difesa nel merito e al processo con rito immediato che doveva iniziare il 5 novembre.

Le parole di Toti

«Come tutte le transazioni suscitano sentimenti opposti: da un lato l'amarezza di non perseguire fino in fondo le nostre ragioni di innocenza, dall'altro il sollievo di vederne riconoscere una buona parte», ha commentato Toti dopo l'accordo sul patteggiamento. «Resta quel reato "di contesto" definito corruzione impropria, legato non ad atti ma ad atteggiamenti, una accusa difficile da provare per la sua evanescenza, ma altrettanto difficile da smontare per le stesse ragioni», ha aggiunto.

«Detto ciò, di fronte a questo finale, credo appaia chiara a tutti la reale proporzione dei fatti avvenuti e della loro conclusione - dice ancora Toti -, che pone fine alla tormentata vicenda che ha pagato una istituzione oltre alle persone coinvolte e che lascia alle forze politiche il dovere di fare chiarezza sulle troppe norme ambigue di questo paese che regolano aspetti che dovrebbero essere appannaggio della sfera politica stessa e non a quella giudiziaria».

L’inchiesta

Il 7 maggio scorso sono finiti agli arresti Giovanni Toti, il suo capo di gabinetto Matteo Cozzani e l'imprenditore Aldo Spinelli. In carcere anche l'ex presidente dell'autorità portuale e amministratore delegato di Iren Paolo Signorini, ora sospeso. In tutto nell’inchiesta erano 25 le persone indagate e dieci i destinatari di misure cautelari. Per il governatore ligure l’accusa principale è quella di corruzione.

L’indagine, partita nel 2020 dalla procura di La Spezia e poi trasferita a Genova, si è concentrata inizialmente sull’intreccio tra finanziamenti elettorali e concessioni portuali (l’ipotesi di reato iniziale era finanziamento illecito).

Toti, dopo mesi di richieste di dimissioni da parte delle opposizioni, con il centrodestra che ha cercato di prendere tempo, alla fine ha lasciato l’incarico nella mattina del 26 luglio. Nel frattempo, nel corso dei mesi, alla vicenda si sono aggiunti nuovi indagati e si sono aperti nuovi filoni, dal business dei rifiuti alla sanità privata fino a un’ipotizzata truffa sul Covid. Un meccanismo – quello che sta emergendo dalle indagini – fatto di erogazioni da una parte e di favori dall’altra, già ribattezzato «sistema Toti». Sotto la lente degli investigatori anche i soldi dati al governatore che avrebbero finanziato il sindaco di Genova Marco Bucci.

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