Oltre slogan e statistiche sugli arrivi: cantanti e artisti usano la musica per esprimere il dolore del distacco. La parola è “ghorba”. La narrazione della traversata che parte dal nord Africa è un mix di lingue e stili del mondo arabo e occidentale
Nella lingua araba ci sono tante parole per descrivere il “mal di casa”, il dolore nello stare lontani dal proprio paese di origine. Una di queste è «ghorba», ovvero l’esperienza di sentirsi straniero nel luogo in cui si vive, di trovarsi ogni giorno a che fare con una cultura differente da quella d’origine e percepire un senso di alienazione per una lingua che si fatica a comprendere, almeno all’inizio.
Una sensazione che chiunque abbia lasciato il proprio paese per costruire un futuro altrove, subisce almeno una volta nella vita. Una sensazione che attanaglia soprattutto le giovani generazioni che a bordo di un barchino arrivano in Europa. Attorno alla «ghorba» e al viaggio nel Mediterraneo c’è una vasta narrazione, composta da poesie, film e serie tv.
Una narrazione che dà un significato alle statistiche giornaliere sugli sbarchi pubblicate sui giornali e va oltre gli slogan dell’ultra destra. Dietro i numeri ci sono migliaia di giovani le cui storie sono raccontate dai loro coetanei attraverso un linguaggio universale: quello della musica.
E così nascono testi di artisti marocchini che contengono parole in amazigh (lingua berbera), arabo e della vicina Spagna. Oppure trapper tunisini che raccontano l’Italia con liriche a metà tra l’arabo, il francese e l’italiano. Lingue, stili e melodie si fondono e danno vita a canzoni che contano milioni di ascolti. Un mix di hip-hop, trap, rap, raï algerino.
La diffusione delle canzoni è amplificata dai reel pubblicati su TikTok, X e Instagram. Le melodie fanno da sottofondo ai video in cui si vedono decine di giovani a bordo di barchini mentre sono in viaggio nel Mediterraneo.
I Harraga
Con orgoglio si fanno chiamare i «harraga», coloro che bruciano. Bruciano i documenti per passare la frontiera, bruciano i confini e lasciano il loro paese alle spalle. Il termine è identitario per le giovani generazioni nord africane. Basta scrivere la parola «harraga» su Spotify per trovare non solo decine di canzoni, ma anche playlist create dagli utenti. Una di queste, con migliaia di follower, recita nella descrizione due parole in arabo: «Arriveremo, arriveremo».
È la speranza dei giovani che si identificano nelle parole di chi attraverso il canto racconta le loro paure, le loro incertezze, la loro storia. E così cantano che partono di nascosto, la sera, per evitare che la mamma si arrabbi. Che vogliono arrivare in Italia per fare soldi e costruire una casa nel loro entroterra nordafricano. Denunciano episodi discriminatori e vessazioni della polizia in Europa. Sognano di tornare un giorno nel quartiere che li ha cresciuti.
I testi
Il racconto del viaggio passa anche attraverso le cover artistiche delle canzoni. Il tunisino TI G13, circa 30mila ascoltatori mensili su Spotify, ha scelto un giovane in mezzo al deserto come immagine di copertina del suo album Rahal («il viaggiatore»). Altre canzoni hanno come cover un barchino vuoto in mezzo alla tempesta.
L’ultimo singolo (6 dicembre) dell’artista marocchino Bilal Assarguini ha come immagine un barchino carico di giovani in mezzo a un mare freddo e mosso. Alcuni indossano un salvagente, altri no. L’ultimo stringe in mano una bandiera dell’Unione europea. È un pezzo misto tra l’arabo e lo spagnolo. E il ritornello recita: «Non è mai tardi, la speranza non si perde mai. Tutto quello che faccio è per mia madre. Lottiamo, tutti i giorni lottiamo e della vita mai ci lamentiamo. Veniamo dalla strada, siamo harraga».
Nell’agosto del 2023, nel bel mezzo del record di partenze verso l’Europa, Assarguini ha pubblicato una hit che oggi conta più di 2.3 milioni di ascolti su Spotify e dieci milioni su Youtube. Si chiama Ya Mektoubi, un’espressione caratteristica islamica che significa «è stato scritto», «doveva accadere». Insomma: il destino.
«Madre non piangere per me. Così è la vita, sono solo in un paese lontano. Ma mi sento forte, lotterò affinché tu non patisca più la fame», canta Assarguini. «Madre ho paura di non rivederti più, perché me ne vado tra la vita e la morte. Non voglio vederti soffrire, mamma veramente mi dispiace. Arriveranno i buoni momenti».
Un inno al dolore di chi lascia la propria famiglia. Più volte nei testi degli artisti ricorre la figura della madre. Ma nel suo testo Assarguini denuncia anche il razzismo e le discriminazioni subite dai suoi connazionali. «Dicono che gli stranieri non apportano nulla al paese. Ci trattano come animali, ti espellono per le tue origini». E ancora: «I miei fratelli tra i cristalli e altri sono morti nei mari».
Tra gli artisti più noti c’è il tunisino Balti. Fa musica da oltre 20 anni ed è uno dei più conosciuti all’estero. Viene da Sidi Hassine, un governatorato della Tunisia molto povero. In un’intervista ha spiegato che i suoi pezzi parlano delle «cose che sono più irritanti per i giovani: la ristrettezza mentale borghese, i doppi standard, la droga, la disoccupazione, la mancanza di soldi, la corruzione. E tutti sognano di scappare».
Lo racconta anche in uno dei suoi singoli più noti, Hasra, più di 15 milioni di ascolti su Spotify. Un pezzo nostalgico in cui ricorda dei suoi «primi giorni» in Tunisia, di «quanto è bella la madre», degli amici e del «quartiere» che «è sempre oppresso».
«Lo stupore ci ha fatto del male e il governo ha peggiorato la situazione», scrive nel testo. «Ricordo gli incontri, abbiamo condiviso tutto quello che avevamo. Anche se ognuno aveva le sue preoccupazioni, quanto eravamo belli allora. Al giorno d'oggi fumiamo erba e mia madre scoppia a piangere», canta Balti. «Dove sei madre mia? Ci siamo separati e ce ne siamo andati».
Un brano di Balti in featuring con Master Sina ha un titolo in italiano. Si chiama Clandestino e non ha bisogno di spiegazioni.
Il ritornello è eloquente: «Clandestino perché senza soggiorno, perché senza la mamma, perché senza ritorno. Clandestino io voglio diventare ricco facendo contento la mamma senza cadere a picco. Sono venuto in Italia, venuto da piccolo. Arabo in Italia, quello che dicono. Scappato dal paese su una barca. Ho visto con gli occhi i miei compagni annegare in mare. C'è chi si è salvato, c'è chi è morto. C'è chi è annegato, senza ritorno. Buongiorno all’Italia, ciao alla Tunisia».
Chi ispira
La scena musicale nord africana vanta decine di nomi. Tanti di loro si ispirano ai “big”. Tra questi c’è sicuramente l’algerino Abderraouf Derradji, meglio noto come Soolking. Le sue canzoni hanno superato il miliardo di ascolti. Si è esibito anche a Milano e ha scritto hit anche insieme al rapper italiano di origine tunisine Ghali. Nelle interviste racconta di essere cresciuto ascoltando la musica del suo paese. Ma anche i vari Michael Jackson e Notorious Big. Immortalati nella cover del suo album Vintage.
Originario della piccola città costiera di Staouéli, nel suo percorso ha imparato a mixare diversi generi. Dal pop alla musica latina, passando per la trap e il raï algerino. «La musica non ha codici né leggi. Viene così. Devi lavorare», aveva detto in un’intervista.
Nel 2019 pubblica la hit Libertè, diventata subito virale. Il brano nasce da una collaborazione insieme al gruppo Ouled El Bahdja, tifosi della Union sportive de la medina di Algeri. «La voce di queste famiglie piene di dolore. La voce che prega per un destino migliore. Scusami se esisto, scusa i miei sentimenti. E se dico che sono felice con te mento. Scusami se esisto, scusa i miei sentimenti. Dammi restituiscimi la mia libertà, te lo chiedo gentilmente. Libertà, libertà, libertà. È al primo posto nei nostri cuori. Libertà, libertà, libertà. Non ci spaventa...».
Un testo politico, come quello di altri trapper, ma nel quale non vengono mai citati gli autocrati di turno come Tebboune o Kais Saied.
Nei suoi testi, Soolking racconta di quando era arrivato in Francia senza documenti come migliaia di suoi compaesani di cui ora ne è diventato un’icona.
Al centro del brano Ya Ibahri, ci sono i rischi di morire in mare, la «ghorba» di casa e tanto altro: «Me ne vado senza ritorno. Ho lasciato il mio amore, ti ho lasciato per sempre. Sono intrappolato, sono imprigionato. Voglio andare senza ritorno. Vedere il futuro solo al porto. Fratello, la vita non è facile. Morire in mare è un suicidio. È la tua vita che stai sacrificando». «Rischio la morte per vivere. Oh caro, non piangere. Come te, ce ne sono migliaia. Se ne sono già dimenticati».
In Sans Visa, invece, Soolking racconta le problematicità di non avere un documento. Condizione comune a tutti i «harraga», a quelli che cercano un’emancipazione non solo attraverso un viaggio fisico, ma anche musicale. Chi arriva all’Europa realizza il «helm», il sogno, chi non ci arriva continua a sognare con la trap.
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