Ma non c’è prova di incontri tra Mannino e Subranni nel periodo di tempo compreso tra la strage di Capaci e la prima presa di contatto di De Donno con Ciancimino. L’unico che si può desumere dalle pur evasive o reticenti dichiarazioni dell’ex capo della Dia è quello seguito alla notizia di un imminente attentato a Mannino
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.
Orbene, va detto subito che non si può trarre dalla testimonianza del Tavormina alcun elemento certo in ordine al fatto che Mannino e Subranni si siano incontrati più volte per parlare dei problemi di sicurezza del ministro e delle iniziative intraprese dal Ros a sua tutela, nel medesimo periodo di tempo in cui si dipanò la vicenda dei contatti di Mori e De Donno con Ciancimino.
L’unico incontro che si può desumere dalle pur evasive o reticenti dichiarazioni dell’ex capo della Dia è quello seguito alla notizia di un imminente attentato a Mannino: notizia che, verosimilmente, precede la nota del 19 giugno 1992 a firma Subranni diffusa a vari corpi di polizia organismi investigativi circa il pericolo di attentati a varie personalità tra le quali anche due uomini politici identificati nelle persone di Mannino e Andò.
Ma a quella data il progetto di agganciare Ciancimino era già in opera, nel senso che, se non v’era stato già un primo incontro a quattr’occhi tra De Donno e Ciancimino, quanto meno il primo era in attesa di una risposta alla sua richiesta di incontrarsi (fatta avere, al secondo, per il tramite del figlio Massimo).
Quanto agli incontri — di Mannino con Subranni - desumibili dalle agende Contrada, uno non fa testo perché è databile al 13 ottobre, ossia in una fase più che avanzata della trattativa con Ciancimino e a cinque giorni dalla sua apparente rottura.
L’altra risale all’8 luglio, ma il dato non è sicuro perché l’annotazione in agenda è interlocutoria (Subranni era atteso, per andare insieme a Contrada dal ministro, ma non è detto che sia poi giunto); e comunque valgono le considerazioni precedenti, con l’aggiunta che a quella data era già iniziata, con tutta probabilità, la sequenza degli incontri preliminari tra il capitano De Donno e Vito Ciancimino.
Detto questo, non si può presumere che vi siano stati altri incontri solo perché ciò tornerebbe utile a far quadrare l’ipotesi accusatoria; e tanto meno si possono colmare i vuoti della deposizione di Tavormina, costellata di reticenze e amnesie, e la mancata acquisizione di ulteriori dati, imputabili alla scelta difensiva di non dare ingresso alla produzione da parte del pm dei verbali delle dichiarazioni rese dal generale Subranni al processo Mannino, dando per provato ciò che nessuno dei partecipanti a quegli incontri triangolari — per quanto possa desumersi dalle risultanze dei processo Mannino e Contrada e dalla motivazione delle stesse richieste di acquisizione di quei verbali — ha mai dichiarato o lasciato intendere: e cioè che Mannino abbia dato incarico a Subranni, che a sua volta avrebbe girato l’incarico ai suoi sottoposti, di tentare un approccio con i vertici di Cosa nostra; o che una simile iniziativa sia stata concertata tra Subranni e Mannino in occasione di uno o più di quegli incontri.
Resta, è vero, l’incertezza sulle iniziative che, a dire dello stesso Tavormina, furono effettivamente intraprese dagli uomini del Ros a tutela dell’influente uomo politico; e l’imbarazzo del dichiarante nel non riuscire a mettere a fuoco i propri ricordi sul punto, pur avendo finito per ammettere che di quelle iniziative ebbe a parlare con Subranni.
Ma non si può da ciò ricavarne che esse si concretizzarono proprio in un tentativo diretto ad intavolare una trattativa con Cosa nostra, giacché non si può escludere che si siano limitati ad attivare i canali e terminali della propria rete info-investigativa (e in tale ottica si spiegherebbe la visita del capitano Sinico, insieme al maresciallo Lombardo, per compulsare una fonte di quest’ultimo, Girolamo D’anna, al carcere di Fossombrone il 15 giugno 1992, quattro giorni prima che venisse diramata l’allarmata e allarmante nota a firma del C.te del Ros circa possibili e imminenti attentati ad alcune personalità, tra le quali anche il ministro Mannino) o abbiano condotto specifici accertamenti per verificare la fondatezza della notizia di un imminente attentato (accertamenti che poi, a dire dello stesso Tavormina, non diedero esito).
Quanto alla suggestione derivante dalla coincidenza temporale, ovvero il fatto che nello stesso torno di tempo si andava dipanando la vicenda dei contatti con Vito Ciancimino finalizzati, nelle dichiarate intenzione dei diretti protagonisti, a fermare le stragi, si può concedere al più che Subranni ne abbia informato Mannino, condividendone l’utilità anche ai fini della problematica legata alle preoccupazioni del ministro per la propria incolumità: ma senza per ciò stesso inferirne che quell’iniziativa sia nata e sia stata tra loro concertata per quella specifica finalità, dal momento che nulla smentisce l’assunto che l’idea originaria sia stata concepita da Mori e De Donno (quest’ultimo raccogliendo un input del suo comandante a ricercare fonti di livello superiore alle schiere di confidenti, che fossero utili ad acquisire conoscenze e informazioni sulle dinamiche criminali in atto).
Come non v’è prova di incontri tra Mannino e Subranni nel periodo di tempo compreso tra la strage di Capaci e la prima presa di contatto di De Donno con Massimo Ciancimino.
Alcune ammissioni
È forse per sopperire a questa rarefazione probatoria, e poter dimostrare l‘esistenza, l’oggetto e la collocazione temporale degli assenti incontri di Subranni con Mannino, ed anche con Contrada, sul problema delle minacce allo stesso Mannino e delle iniziative da intraprendere per la sua protezione, che il p.g. Aveva prodotto, chiedendone l’acquisizione, il verbale delle dichiarazioni rese dal generale Subranni al pm l’8 settembre 1995 nell’ambito del procedimento a carico di Calogero Mannino per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa; il verbale dell’interrogatorio di garanzia reso dallo stesso Mannino in data 15 febbraio 1995; i verbali delle deposizioni testimoniali rese all’udienza del 19.07.2000 dallo stesso Subranni e dal dirigente del Sisde Bruno Contrada, sempre nel procedimento a carico del Mannino: atti dai quali emergerebbe che Mannino ebbe ad incontrare sia Subranni che Contrada, tra i mesi di giugno e ottobre del ‘92, anche per parlare con loro delle minacce ricevute e delle preoccupazioni per la sua incolumità.
I difensori di Subranni, ma anche i difensori dei coimputati Mori e De Donno, si sono opposti alla richiesta di acquisizione dei verbali predetti che quindi non hanno avuto ingresso nel materiale probatorio utilizzabile da questa corte.
Una scelta processuale del tutto legittima e insindacabile, da cui non possono ricavarsi indizi a carico del Subranni — e di riflesso anche nei riguardi degli altri due coimputati — per avere sbarrato l’ingresso a materiali di prova compromettenti per la propria posizione.
[…] Ne segue che il tema delle triangolazioni (Mannino-Subranni; Mannino-Contrada; Mannino con Subranni e Contrada insieme) è stato sviscerato nel giudizio d’appello del processo-stralcio a carico di Calogero Mannino assai più di quanto non sia stato possibile fare in questa sede, proprio perché in quel giudizio avevano trovato ingresso e sono stati utilizzati anche i verbali di prova di altro procedimento che invece qui non sono stati acquisiti, non avendo i difensori degli imputati prestato il necessario consenso ex art. 238 c.p.. Ma gli esiti, nel separato giudizio d’appello, non sono stati meno deludenti per le aspettative che la pubblica accusa riponeva in quelle allegazioni probatorie.
Infatti, i giudici d’appello del processo stralcio a carico del Mannino danno atto della sostanziale convergenza che si registra tra le dichiarazioni ammissive di Mannino, di Contrada e dello stesso Subranni circa il fatto che, nel periodo compreso tra giugno e ottobre del ‘92 vi furono tra loro diversi incontri vertenti sia sul problema delle minacce ricevute dal ministro Mannino che sull’esposto anonimo denominato Corvo2 e sulle relative indagini.
A tale convergenza si sottrae solo il rifiuto di Subranni di ammettere di avere incontrato Mannino insieme a Contrada, rifiuto reiterato anche dopo che, secondo quanto si legge nella sentenza di assoluzione del Mannino, gli fu contestato che tale circostanza era stata ammessa dagli altri due soggetti chiamati in causa. Ma per il resto, i tre dichiaranti confermano che vi furono diversi incontri «tra il ministro, il capo del Ros ed il capo del Sisde aventi ad oggetto la sicurezza personale dell’uomo di governo e le accuse contenute nell’anonimo ‘Corvo 2’ vi è più sfociate anche in una riunione istituzionale a cui avevano partecipato la Criminalpol, la Dia, il Ros, il Sismi, il Sisde».
Gli stessi giudici pervengono però alla conclusione che, su entrambi i temi che furono oggetto di quegli incontri, «gli interessi in gioco in quel periodo, quando già era avvenuta la strage di Capaci, non solo per la sicurezza della vita degli uomini di governo, ma anche per la stessa tenuta delle istituzioni democratiche, rendessero assolutamente plausibile la mobilitazione, nell’interesse del ministro Mannino, come di altre alte istituzioni dello stato, di tutte le forze di polizia, militari e d’intelligence dello stato italiano».
In altri termini, non vi sarebbero stato, nelle acclarate triangolazioni, tenuto conto del contesto in cui avvennero e delle prerogative e competenze dei soggetti che vi parteciparono, nulla di anomalo o non ortodosso. Ebbene, ritiene questa corte di dover pervenire ad analoghe conclusioni, con le precisazioni che seguono.
Anzitutto, deve convenirsi che, [...] la circostanza di una sequenza di incontri tra i medesimi soggetti, ma anche quella di analoghe e più o meno contestuali triangolazioni Mannino-Subranni e Mannino-Tavormina, Tavormina-Guazzelli-Subranni, sempre sul tema delle minacce al ministro Mannino e delle possibili iniziative da intraprendere a tutela della sua incolumità, è un dato che può considerarsi pacificamente acquisito in almeno due processi definiti ormai con sentenze parimenti irrevocabili. Sul punto, nella memoria depositata il 5 luglio 2021 nella fase della discussione finale del presente giudizio d’appello, le difese di Mori e De Donno non si sottraggono al confronto con l’argomento su cui ha insistito il p.g. nella sua requisitoria; ma si limitano ad ammettere ciò che può evincersi dalle annotazioni contenute nelle agende del Contrada, che fanno parte del compendio dibattimentale.
Si ammette dunque che Mannino abbia incontrato Contrada il 25 giugno, ma da solo e non insieme a Subranni, e comunque dopo che era stata diramata (il 19 giugno ‘92) l’allarmata e allarmante nota del Ros, a firma del Generale Subranni, che segnalava il pericolo concreto di attentati ai danni di cinque personalità, tra cui il Ministro Calogero Mannino.
Ed ancora si ammette che Mannino abbia incontrato Subranni e Contrada insieme: ma una sola volta, e cioè il 13 ottobre ‘92 [...] ossia appena cinque giorni prima dell’ultimo di una serie (iniziata mesi prima) di molteplici incontri che De Donno, prima, e poi lo stesso De Donno insieme al Colonnello Mori, avevano avuto con Vito Ciancimino.
Mentre per la giornata dell’8 luglio risultano annotati sia un incontro con il Generale Subranni che un appuntamento in via Borgognone 47, presso lo studio dell’on. Mannino, ma sembrerebbe trattarsi di annotazioni separate. Quanto alla suggestione derivante dalla coincidenza temporale, ovvero il fatto che nello stesso torno di tempo si andava dipanando la vicenda dei contatti con Vito Ciancimino finalizzati, nelle dichiarate intenzione dei diretti protagonisti, a fermare le stragi, si può concedere al più che Subranni ne abbia informato Mannino, condividendone l’utilità anche ai fini della problematica legata alle preoccupazioni del ministro per la propria incolumità: ma senza per ciò stesso inferirne che quell’iniziativa sia nata e sia stata tra loro concertata per quella specifica finalità, dal momento che nulla smentisce l’assunto che l’idea originaria sia stata concepita da Mori e De Donno (quest’ultimo raccogliendo un input del suo comandante a ricercare fonti di livello superiore alle schiere di confidenti, che fossero utili ad acquisire conoscenze e informazioni sulle dinamiche criminali in atto).
Come non v’è prova di incontri tra Mannino e Subranni nel periodo di tempo compreso tra la strage di Capaci e la prima presa di contatto di De Donno con Massimo Ciancimino.
L’unico che si può desumere dalle pur evasive o reticenti dichiarazioni dell’ex capo della Dia, come già detto, è quello seguito alla notizia di un imminente attentato a Mannino: […]. Non sarebbe provato quindi, a tutto concedere, che Subranni si sia incontrato con Mannino in tempi compatibili con l’ipotesi che la presunta Trattativa Stato-mafia possa essere scaturita da un input di Mannino a Subranni, o addirittura da un apposito incarico conferito dall’ancora influente uomo politico al Comandante del Ros.
La difesa glissa sull’altra triangolazione, quella facente capo al Generale Tavormina (Mannino-Guazzelli, Guazzelli-Tavormina-Subranni), e che si sarebbe dipanata a cavallo dell’omicidio Guazzelli (4 aprile 1992). Ma è anche vero che questa ulteriore triangolazione, che in parte precede e in parte s’intreccia all’altra, risale ad almeno due mesi prima che venisse concepito e messo in atto il progetto di contattare Vito Ciancimino, che prenderà forma solo dopo la strage di Capaci.
Ciò posto, a rivelarsi fallace è la premessa su cui si fonda l’intero ragionamento che ha condotto il giudice di prime cure a riconoscere al Mannino un ruolo fondamentale per avere innescato e, in qualche modo, “ispirato” quel progetto.
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