- Tra gli indagati nell’inchiesta su favori e corruzione nella sanità isolana, ci sono il consigliere del ministro per la Protezione civile Nello Musumeci e uno degli uomini fidati del senatore Salvo Pogliese.
- Entrambi di Fratelli d’Italia e vicini a Giorgia Meloni, il primo fino allo scorso autunno è stato presidente della regione, mentre Pogliese è approdato a palazzo Madama dopo un’esperienza da sindaco di Catania interrotta due volte dalla legge Severino, scattata dopo una condanna in primo grado per peculato.
- Ed è proprio da Catania che è partito lo scandalo che ha travolto politici e colletti bianchi, scoperti a brigare tra loro per indirizzare incarichi e contratti.
L’onda lunga dell’ultimo scossone giudiziario che ha colpito la Sicilia arriva fino a Roma. Tra gli indagati nell’inchiesta su favori e corruzione nella sanità isolana, ci sono il consigliere del ministro per la Protezione civile Nello Musumeci e uno degli uomini fidati del senatore Salvo Pogliese. Entrambi di Fratelli d’Italia e vicini a Giorgia Meloni, il primo fino allo scorso autunno è stato presidente della regione, mentre Pogliese è approdato a palazzo Madama dopo un’esperienza da sindaco di Catania interrotta due volte dalla legge Severino, scattata dopo una condanna in primo grado per peculato per le spese pazze da deputato all'Assemblea regionale siciliana, a cui si è aggiunta anche la condanna in appello con una riduzione della pena a due anni e tre mesi.
I meloniani indagati
Ed è proprio da Catania che è partito lo scandalo che ha travolto politici e colletti bianchi, scoperti a brigare tra loro per indirizzare incarichi e contratti. Non è la prima volta che corruzione e sanità si intrecciano in Sicilia: risale a pochi anni fa l’inchiesta sugli appalti milionari che venivano pilotati nel cuore della regione grazie al pagamento di laute tangenti. Stavolta a finire sotto la lente dei pm, sono stati affari a meno zeri ma che rischiano di creare un maggiore imbarazzo a livello istituzionale: una ventina tra politici, accademici e funzionari sono accusati di avere alterato procedure pubbliche per piazzare figli, mogli, amici in cima alle graduatorie di bandi che – secondo gli inquirenti – sarebbero stati ritagliati addosso ai predestinati vincitori.
È all’interno di questo quadro che si stagliano le figure di Ruggero Razza e Pippo Arcidiacono. Di professione avvocato, il primo è da sempre il braccio destro del ministro Musumeci che, a inizio anno lo ha inserito nel proprio staff con un incarico a titolo gratuito. Nei cinque anni da governatore della Sicilia, Musumeci lo ha invece voluto al proprio fianco nominandolo assessore alla Salute. Una fiducia che Musumeci non ha esitato a ribadire a Razza anche quando in Sicilia scoppiò lo scandalo sulla presunta falsificazione dei dati Covid.
Razza, che per quei fatti è a processo, fu intercettato mentre chiedeva a una dirigente regionale di «spalmare» su più giorni il numero dei morti. Travolto dalle polemiche, l’assessore si dimise per poi venire richiamato in giunta dallo stesso Musumeci pochi mesi dopo, in quanto certo della sua innocenza. Adesso Razza, che di recente è stato tra i papabili candidati sindaco di Catania in vista delle comunali, si trova accusato di essere l’istigatore di un accordo per fare ottenere al nipote di un ex deputato dell’Ars un incarico da 10mila euro all’Ordine dei medici di Palermo. Dalle intercettazioni raccolte nelle oltre mille pagine di ordinanza, emerge che Razza avrebbe chiesto di soddisfare anche le aspettative di un dentista trapanese. Pretese che avrebbero messo in difficoltà chi aveva il compito di trovare le giuste alchimie per non scontentare nessuno.
«Mi hai dato la coperta, ma ora questa coperta è stretta», avrebbe detto a un collaboratore di Razza un odontoiatra, finito ai domiciliari con l’accusa di essere uno dei principali artefici dei bandi pilotati. Lo stesso odontoiatra avrebbe pensato alle migliori strategie per dare visibilità ai bandi: «Noi dobbiamo al più presto fare la conferenza stampa, e la facciamo al palazzo della regione con Musumeci e Razza». Nei confronti di Razza la procura ha chiesto la sospensione dai pubblici uffici, ma la gip si è riservata di esprimersi dopo l’interrogatorio di garanzia.
«Imposto» dal senatore
Decisione diversa, invece, è stata presa per Arcidiacono, cardiologo legato al senatore Pogliese. Arcidiacono, che è finito ai domiciliari con l’accusa di avere contribuito a condizionare bandi anche a favore della moglie e della figlia, è stato assessore comunale a Catania fino alle dimissioni di Pogliese. E del capoluogo etneo, Arcidiacono ha sognato di essere il nuovo sindaco.
Fino a un mese fa, infatti, il cardiologo era in lizza per le comunali, con tanto di manifesti appesi in città e benedizione proprio di Pogliese, che per mesi ha avuto in lui la carta con cui proporsi al burrascoso tavolo delle trattative del centrodestra catanese, da cui alla fine è venuto fuori il nome di Enrico Trantino, anche lui assessore comunale uscente e meloniano. «La sintesi raggiunta su Trantino nulla toglie al valore delle altre proposte di Razza e Arcidiacono», ha commentato Pogliese dopo l’ufficializzazione della candidatura nel centrodestra.
Pur essendo fuori dall’inchiesta, il nome del senatore compare più volte nell’ordinanza. A tirarlo in ballo è lo stesso Arcidiacono che, a chi gli chiedeva a quale area politica rispondesse il direttore generale del Policlinico di Catania, diceva: «A Pogliese, l’ha messo Pogliese. A noi di rimando, ma finisce là. Pogliese è quello che gli impone le cose». Il direttore generale, che è stato ascoltato dai magistrati nel corso delle indagini, nel 2021 era finito sulla bocca degli indagati per i rallentamenti registratisi nell’avvio di un progetto.
Ritardi che potrebbero essere stati legati alla visita che nei mesi precedenti i carabinieri avevano fatto negli uffici del Policlinico. A sapere di quell’ispezione era l’odontoiatra ritenuto tra i principali artefici dei bandi truccati. L’uomo avrebbe valutato la possibilità di fare richiamare Sirna dallo stesso Pogliese, ma l’ipotesi, tuttavia, non convinceva a pieno: «Secondo te, Salvo Pogliese, con tutti i casini che ha, si mette in tutte queste condizioni? Quello (il direttore generale) gli dice: “C’è la magistratura di mezzo”... Scappano tutti!».
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