- Questa è la rubrica Vino sul Divano. Ogni mese, nell’inserto Cibo, esploriamo le tendenze dell’enologia guardando soprattutto al di là dei confini italiani, perché – se è vero che il nostro paese possiede la più grande biodiversità di vitigni autoctoni – è importante smettere di guardarsi l’ombelico e vedere cosa succede altrove.
- Eric Asimov, uno dei più importanti e influenti wine writer del mondo, scrive sul New York Times di guardare al vino come a un contenitore di diversi significati, uno strumento che nelle sue declinazioni artigianali è in grado di farci viaggiare e scoprire luoghi sempre diversi.
- Il vino non è solo qualcosa di imprevedibile, scrive, ma anche qualcosa che vive di imperfezioni: irregolarità che lo rendono spesso delizioso. Una questione più legata alla sua anima che alla sua sola estetica, un po’ la stessa cosa che avverte chi preferisce ascoltare un brano a partire da un vinile.
Drinking is thinking. Così inizia un recente articolo pubblicato da Eric Asimov sul New York Times dedicato a quelle persone che usano il vino solo come un mezzo per arrivare a un fine. Che acquistano una bottiglia senza rifletterci, che guardano solo al prezzo e non vanno oltre le marche più famose o riconoscibili. A loro si rivolge quando dice che sì, è possibile bere non solo meglio ma anche in maniera più intrigante: basta iniziare a guardare al vino con occhi diversi.
Pensare al vino come a un prodotto della terra è un inizio, scrive. Anche se può sembrare cosa ovvia, che tutto abbia inizio a partire solo dall’uva è per molti tutt'altro che una verità universale. Non solo, il grande pubblico ignora che la maggior parte del vino, soprattutto quello più economico, sia più industriale che artigianale, prodotto cioè a partire da protocolli prestabiliti con lo scopo di raggiungere uno specifico profilo organolettico, a volte frutto di ricerche di mercato.
Imparare a scegliere
Per esempio, quanti sanno che alcuni vini a basso costo contengono al loro interno diverse quantità di zucchero, risultando così più o meno morbidi all’assaggio, in base alla nazione cui sono destinati? Un modello produttivo che guarda alla quantità prima ancora che alla qualità, che temendo parassiti, malattie o qualsiasi altra cosa che possa interferire con un raccolto abbondante non esclude l’uso anche massiccio di fertilizzanti, erbicidi e altre sostanze chimiche indipendentemente dal fatto queste possano arrecare danni all’uomo e all’ambiente.
Trattare il vino come un alimento è il (logico) passo successivo. Scegliere cioè le bottiglie che finiscono sulla propria tavola usando gli stessi standard che si usano per il resto. Certo, con il vino non è semplicissimo essendo i supermercati, con rare eccezioni, gli ultimi luoghi all’interno dei quali trovare vini di qualità. Ma se si è interessati alla filiera corta e si è quindi abituati a frequentare fruttivendoli, macellai, forni che basano il proprio lavoro sulla ricerca e sul rispetto della materia prima, perché non applicare gli stessi criteri al vino? Benvenute enoteche.
Non esiste un vino perfetto
Il vino è qualcosa di imprevedibile, continua Asimov. Pensare a ogni bottiglia, a ogni bicchiere, come a una specie di avventura fa parte del divertimento. Un aspetto, questo, che spesso non viene accettato a causa di quel desiderio di prevedibilità e di coerenza che ci fa sentire più tranquilli, lo stesso che nel corso dei decenni ha decretato il successo dei locali in franchising nella ristorazione, un po’ in tutto il mondo.
Il vino buono, però, ha sempre una natura locale. Può viaggiare dall’Italia a New York City ma il suo fascino risiederà sempre nella sua capacità di rivelare qualcosa a proposito del luogo in cui è stato prodotto. È questa la magia, è questa una delle cose che rende il vino così interessante: diversi sapori e consistenze inaspettate possono portare alla scoperta di cose sempre nuove, ampliando contemporaneamente il proprio bagaglio di conoscenze.
Infine, come capita con le persone ogni vino fa storia a sé. Può non essere quindi “perfetto”, qualsiasi cosa questa definizione voglia dire, ma avere sempre e comunque qualcosa di interessante da dire. Un vino buono, anche molto buono, potrebbe quindi avere qualche neo, qualche imperfezione: sono proprio queste sue irregolarità a renderlo delizioso.
Una questione più legata alla sua anima che alla sua sola estetica, un po’ la stessa cosa che avverte chi preferisce ascoltare un brano a partire da un vinile. Non che una traccia MP3 sia sempre del tutto negativa, ci mancherebbe. È che il digitale, come le vinificazioni più invasive, permette di manipolare anche parecchio il prodotto finale con il risultato di finire ad ascoltare una canzone pressoché perfetta ma artificiosa.
Nel digitale come nel vino industriale ogni imperfezione viene semplicemente cancellata, eliminata. Spesso, però, la grandezza di una registrazione come di un vino trascende i suoi piccoli errori: sono la sua energia, in generale l’atmosfera che riesce a trasmettere a definirne il carattere, piccole imperfezioni comprese.
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