Un poliziotto assaltato dai tifosi laziali riportò varie ferite. Il ministero contro il riconoscimento. Erano trascorsi i dieci anni, dunque da rifiutare. Ma con il capo della polizia, Vittorio Pisani, ha fatto il contrario
«L’istanza è improcedibile in quanto tardiva, essendo stata prodotta oltre il termine decennale di prescrizione. Pertanto non si darà luogo all’avvio del procedimento, stante l’avvenuta prescrizione dei diritti a ricevere i benefici normativamente previsti». È questa la formula generica, dai toni burocratici, che il ministero dell’Interno utilizza nei contenziosi legali per negare lo status di vittima del dovere a decine di agenti che ne fanno richiesta.
Insomma, sono trascorsi dieci anni, è arrivata la prescrizione e nemmeno viene aperta la pratica. Così, per far valere le proprie ragioni, chi ha le possibilità economiche deve affrontare un lungo iter legale. Fino ad arrivare in corte di Cassazione. Il problema è di chi non può permettersi di anticipare le spese per gli avvocati.
«Ho dovuto affrontare anni e anni di battaglie per aver riconosciuto un mio diritto con l’amministrazione che mi ha sempre contrastato. Ho speso migliaia di euro per vincere in corte di Cassazione». A parlare con Domani è un ex poliziotto, che racconta la sua storia chiedendo l’anonimato.
Chi lavora nelle forze dell’ordine conosce i rischi che corre, quello che non conosce è che poi nelle cause di lavoro si troverà l’amministrazione contro. Così è accaduto all’ex agente e a tanti altri, al contrario del trattamento riservato a Vincenzo Pirone, suocero del capo della Polizia, Vittorio Pisani.
Nel caso di Pirone, come ha svelato Domani, il ministero ha negato il riconoscimento in più occasioni. E poi non si è opposto alla decisione del Tribunale del lavoro di concedere, nel 2020 (quando Pisani era vicedirettore dell’Aisi), lo status di vittima del dovere con annesso vitalizio, una tantum destinati agli eredi e varie esenzioni. Tra questi la moglie di Pisani, Giulia Pirone.
Anche nel caso del riconoscimento dello status al capo della polizia si registra un iter diverso rispetto a tanti altri, senza rilievi sulla possibile prescrizione. Pisani ha presentato la domanda nel 2023, oltre due decenni dopo l’incidente, risalente al 1997, con la visita a domicilio per valutare la percentuale di disabilità.
Una vicenda che ha provocato reazioni nella polizia, ma che ancora oggi è stata ignorata dalle opposizioni: Pd e Movimento 5 stelle hanno scelto la linea del silenzio. Agli atti resta solo un’interrogazione del deputato di Avs Devis Dori.
Bombe e sassi
Per raccontare il contenzioso dell’ex poliziotto e la richiesta di riconoscimento di vittima del dovere bisogna fare un salto nel tempo al 2002. È il 15 dicembre quando i tifosi della Lazio partono per Torino per la sfida della squadra biancoceleste contro la Juventus. Alla stazione Termini c’è un presidio di polizia, l’agente si trova lì per garantire l’ordine pubblico.
Nelle carte giudiziarie vengono ricostruiti i fatti di violenza accaduti quel giorno. Il poliziotto viene avvicinato da uno dei capi tifosi degli Irriducibili, che lo colpisce violentemente con un manganello, gli altri agenti intervengono e riescono a porre fine all’aggressione, nonostante una fitta sassaiola e il lancio di una bomba carta.
La giornata finisce in ospedale. Il poliziotto registra «un trauma cranico alla regione parietale destra con acufene; che da successivi controlli gli veniva diagnosticata un’invalidità permanente per areflessia labirintica bilaterale di grado non esimente in soggetto con apocusia neurosensoriali bilaterale», si legge negli atti che Domani ha consultato.
L’agente ha così deciso di presentare domanda per il riconoscimento dello status di vittima del dovere, nel maggio 2018, ma il ministero ha respinto la domanda sostenendo che il suo diritto «fosse ormai prescritto essendo decorsi oltre 10 anni».
L’odissea è proseguita con il tribunale di Roma, sezione lavoro, che nel 2020 ha accolto la domanda e condannato il ministero al riconoscimento del ricorrente quale vittima del dovere. Ma non è finita. Il Viminale ha fatto ricorso in appello. L’esito è lo stesso: accolta l’istanza dell’agente. Intanto l’ex poliziotto racconta a Domani di aver «speso almeno 60mila euro per vedersi riconoscere un diritto».
Ricorso in Cassazione
C’è ancora un altro passaggio. Gli uffici del ministero, dopo il giudizio di secondo grado, si sono rivolti alla Cassazione. Nel dicembre 2024 i giudici della Suprema corte hanno definitivamente chiuso la vicenda con una sentenza che ha riconosciuto al poliziotto i benefici spettanti alle vittime del dovere: la sua invalidità era al 69 per cento, secondo la commissione che ha verificato la documentazione. Il ministero dell’Interno aveva insistito davanti agli ermellini eccependo la prescrizione del diritto, ma le ragioni addotte erano già state bocciate in altri pronunciamenti.
«È infondato, avendo i giudici territoriali deciso conformemente alla giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo cui la condizione di vittima del dovere ha natura di status con conseguente imprescrittibilità dell’azione volta al suo accertamento», viene riportato nel dispositivo.
Un principio che viene disatteso in molti casi di stop alle domande per decorrenza dei termini. Con alcune eccezioni, tra cui quella di Pisani.
Il ministero, sulla vicenda dell’agente ferito dagli ultrà, era tenacemente convinto delle proprie ragioni: aveva presentato anche una memoria per restituire la questione alla valutazione delle sezioni unite, ma nella sentenza si legge: «È il caso di ribadire che l’orientamento fatto proprio dalla Cassazione trae origine dalla rielaborazione della nozione di status compiuta dalle sezioni unite nel 2000 e da allora costantemente ribadita nella giurisprudenza di questa Corte».
Una bocciatura senza appello con la condanna «alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità».
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