«Disobbedire all’istituzione delle zone rosse nelle nostre città, che rappresentano la forma più becera, classista e razzista di trasformare i diritti in privilegi». Così la rete contro il ddl Sicurezza ha commentato nell’assemblea nazionale di sabato 11 novembre l’introduzione delle zone rosse in diverse città italiane.

Si tratta di aree urbane in cui vengono adottati controlli straordinari per limitare la circolazione delle persone, dichiaratamente per aumentare la sicurezza. Dopo Firenze, Bologna, Milano e Napoli, anche Roma è stata inclusa: il prefetto Lamberto Giannini ha firmato l’8 gennaio un’ordinanza che istituisce zone a vigilanza rafforzata intorno a Termini, Esquilino e Tuscolana.

Secondo l’avvocata e attivista di Nonna Roma Federica Borlizzi, «la direttiva del ministro Matteo Piantedosi del 17 dicembre invita i prefetti a usare il potere di ordinanza, previsto da una legge fascista del 1931, per espellere dai centri storici persone considerate un “pericolo” per l’ordinato vivere civile».

Questo potere, spiega, dovrebbe essere usato solo in casi di emergenza o grave necessità pubblica: «Assistiamo all’utilizzo con fini chiaramente politici di tale potere. Non c’è nessun allarme. I reati sono diminuiti ovunque. Queste ordinanze servono solo ad aumentare la percezione di sicurezza, anticipando l’estensione del daspo urbano prevista dal ddl».

Allontanamento semplificato

Nelle ordinanze di Bologna e Firenze il daspo urbano si applicava solo a chi aveva precedenti penali. Ora, con le direttive di Milano e Roma, basta una segnalazione. Le ordinanze estendono la possibilità di applicare l’ordine di allontanamento a coloro che, in determinate aree delle città, manifestano comportamenti «aggressivi, minacciosi o insistentemente molesti» e che sono stati precedentemente «segnalati» alle autorità di pubblica sicurezza per alcune tipologie di reati: «Il livello di discrezionalità lasciato alle forze dell’ordine è massimo», spiega Borlizzi.

«Un atteggiamento petulante potrà essere qualificato come “molestia” e, se la persona ha una “segnalazione”, anche molto datata nel tempo, si potrà giungere ad applicargli un divieto di stazionamento della durata di tre mesi che, se violato, comporterà l’applicazione di un ordine di allontanamento del medesimo arco temporale, la cui trasgressione – a sua volta – è presidiata da una specifica fattispecie penale».

Il rischio della profilazione razziale

Il problema è sempre lo stesso: «Attraverso un atto amministrativo prefettizio si introducono delle restrizioni alla libertà di movimento di specifiche categorie di soggetti, estendendo i presupposti del daspo urbano al di là dei limiti previsti dalla normativa e si ampliano le maglie del controllo che colpirà, in maniera selettiva, in particolar modo i soggetti razzializzati e marginali, rendendoli destinatari di una spirale di criminalizzazione secondaria».

L’impatto discriminatorio si vede nell’ordinanza di Milano, che «individua i “soggetti molesti” come “persone di giovane età e sovente di provenienza extracomunitaria (c.d. seconde generazioni)” o “non in regola con la normativa in materia di immigrazione”». Per Borlizzi, «è chiara la matrice apertamente discriminatoria di tale provvedimento, che sembra invitare le forze dell’ordine a una pratica illegittima già censurata dal Consiglio d’Europa: la profilazione razziale».

A Roma, l’ordinanza è stata emanata dopo un braccio di ferro con il Campidoglio, con il sindaco Roberto Gualtieri (Pd) inizialmente contrario. Piantedosi, nella direttiva del 17 dicembre, aveva sottolineato la necessità di «pianificare interventi» in vista del Giubileo, concentrandosi su aree con monumenti e attrazioni turistiche, spesso frequentate da soggetti coinvolti in reati contro la persona e il patrimonio. Secondo Borlizzi, «si vuole espellere dal centro storico senza dimora, venditori ambulanti, mendicanti, criminalizzando persone vulnerabili per trasformare la città in una vetrina per turisti e cittadini “perbene”».

Cosa dicono i dati

Diverse realtà civiche romane hanno espresso dissenso verso queste misure, ribadito durante un incontro al Polo Civico Esquilino, una delle aree interessate: «I dati non giustificano tali scelte: negli ultimi dieci anni i reati in Italia sono calati del 20 per cento. Nel 2024, su 4 milioni di controlli nelle grandi stazioni, si sono registrati appena 1.000 arresti, 11.000 indagati, 50 kg di droga e 250 armi sequestrate. Tuttavia, l’Istat certifica un aumento della paura e dell’insicurezza, soprattutto nelle grandi città».

Unico sostegno all’ordinanza è arrivato da un comitato del quartiere Tuscolano, che ha espresso il desiderio di trasformare la zona rossa in un presidio permanente.

«In questo momento, come Amnesty, stiamo monitorando se tali misure possano limitare il diritto alla protesta pacifica», spiega Maria Paola Boselli di Amnesty International, che ricorda: «In passato, come a Torino nel 2023 durante il meeting delle Regioni-Province, la zona rossa ha portato a violente repressioni delle manifestazioni».

Profili di incostituzionalità

Un’altra criticità, secondo Boselli, è che «un’ordinanza come questa potrebbe entrare in conflitto con altre leggi dello stato, incluse norme di rango superiore», una problematica che «sollevata in più occasioni».

Sollevazioni sono arrivate anche da Magistratura democratica (Md). «Io non sono un moderato, sono moderatissimo. Ma mi stupisce come questa ordinanza stia sollevando così poche critiche da parte della cittadinanza» commenta Stefano Celli (Md).

«Abbiamo rilevato profili di incostituzionalità. Sicuramente una violazione dell’articolo 16 e dell’articolo 13. Queste ordinanze potrebbero rappresentare un’estensione indebita dei poteri locali, minando il bilanciamento tra sicurezza e garanzie costituzionali. Sebbene queste criticità non emergano subito, potrebbero avere gravi ripercussioni nel tempo», continua.

«Non c’è bisogno di istituire una zona rossa che allontana ancora di più chi è già emarginato, se qualcuno commette un illecito le forze di polizia devono intervenire. Ci vogliono concessioni autorevoli, non autoritarie» conclude Celli.

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