A sessant’anni dalla morte di Palmiro Togliatti, avvenuta a Jalta il 21 agosto del 1964, cimentarsi con uno dei dirigenti più importanti del comunismo internazionale, quello senza il quale - per dirne solo una - non avremmo conosciuto gli scritti carcerari di Antonio Gramsci, rischia di diventare «brevi cenni sull’universo», per usare proprio una delle celebri lezioni di giornalismo contenuta nei Quaderni.

C’è un Togliatti che «ancora oggi suona attuale», spiega lo storico Gianluca Fiocco, della Fondazione Gramsci, che al Migliore ha dedicato Togliatti, il realismo della politica (Carocci). «Si pensi alle riflessioni sulla questione nucleare e l’unità del genere umano».

Ma c’è una questione preliminare. Oggi, in Italia, la parola comunismo viene spesso utilizzata come contraltare del fascismo, sotto la generale categoria del totalitarismo. Possiamo dire che Togliatti è sopravvissuto al fascismo ma rischia di soccombere al comunismo?

No. In Italia è indiscutibile il suo posto fra i costituenti e padri della Repubblica. Ha costruito un partito in cui le masse popolari potessero riconoscersi ed educarsi alla democrazia, superando quel distacco fra governanti e governati che fu uno dei limiti dello Stato sorto dal Risorgimento. Colse nel segno Giuseppe Dossetti quando alla Costituente lo ritrasse in una caricatura come un novello Cavour. Anche le caricature possono essere un documento storico molto serio e rivelatore.

Eppure la sua generazione è segnata dalla Rivoluzione sovietica del ’17.

E dalla Grande Guerra. A Torino, il centro industriale più avanzato del paese, Togliatti si immerge nel movimento dei Consigli di fabbrica, che il gruppo dell’Ordine Nuovo di cui è dirigente interpreta come una “traduzione” italiana dei Soviet. Pensa che in Italia e in altre parti d’Europa possa diffondersi un moto rivoluzionario analogo a quello russo. Invece a vincere sarà il fascismo. Nel 1926 Togliatti approda alla scuola del Comintern, il partito mondiale della rivoluzione: un’esperienza che lo abitua a ragionare in termini globali. Assume la guida dei comunisti italiani dopo l’arresto di Gramsci.

Sono anni tragici. Il comunismo è Stalin.

Certo, e questo comporta prezzi molto alti in termini teorici e di azione. Sono anche gli anni dell’avanzata del nazismo in Germania. Togliatti è protagonista della stagione dei Fronti popolari. Studia i meccanismi della società totalitaria e auspica l’avvento di una democrazia antifascista di tipo nuovo. Svolge una missione delicata nella Spagna della guerra civile, da cui si salva in modo rocambolesco, per poi rischiare di cadere vittima nelle spire delle purghe staliniane. Il patto fra Hitler e Stalin lo pone in una posizione ancora più critica, ma poi tutto si riapre con l’aggressione nazista all’Urss e il ritorno dei comunisti al paradigma antifascista.

Nel 1944 Togliatti torna in Italia. Quale ruolo svolge?

È una delle figure principali della transizione dal fascismo alla democrazia. Promuove l’accordo antifascista della svolta di Salerno e si batte per l’approdo repubblicano e per una nuova Costituzione espressione delle istanze popolari. È protagonista della trasformazione del Pci in un partito di massa, non più cospirativo ma parlamentare in collaborazione e competizione con gli altri partiti, a partire dalla Dc. Attribuisce massima importanza al rapporto col mondo cattolico e alla creazione di basi democratiche condivise. La sua scommessa è la pace, e che si possa avanzare verso il socialismo in un modo progressivo e consensuale. Lo scoppio della guerra fredda complica enormemente questi piani.

Togliatti, nonostante l’espulsione dei comunisti dal governo del 1947, mantiene immutati i rapporti di collaborazione del Pci alla Costituente, peraltro presieduta da un comunista, Umberto Terracini.

Un passaggio storico spesso sottovalutato. L’obiettivo è concludere nel modo più unitario e avanzato la stesura della Costituzione. Questo spirito unitario, che non fu solo dei comunisti, è stato fondamentale per la salvezza della nostra democrazia. E ci ricorda che l’antifascismo non fu solo una alleanza per combattere un comune nemico, ma ebbe una valenza propulsiva per il futuro del paese.

Eppure oggi il binomio comunismo-democrazia è impronunciabile.

Togliatti rimase tenacemente attaccato a una prospettiva democratica. Per questo, caso unico nel movimento comunista dell’epoca, nel 1950 si oppose alla richiesta fattagli da Stalin di lasciare l’Italia e guidare il Cominform.

Viene poi il dopo Stalin e il ’56, la repressione sovietica in Ungheria.

Già prima del 1956 Togliatti avvia una azione di rinnovamento nel Pci. Su questa opera discreta ma determinata le rivelazioni sui crimini di Stalin e le barricate di Budapest arrivano come un ciclone, sollevando una nuova ondata di anticomunismo. Ma il Pci ha posto radici solide e Togliatti può rilanciare la via italiana al socialismo, un percorso originale nella democrazia.

Le poderose trasformazioni su cui indaga – la decolonizzazione, i missili nucleari, il nuovo capitalismo dei miracoli economici – lo convincono che il socialismo potrà assumere forme diverse. Si tratta di una revisione del comunismo che pone delle sfide al ruolo guida dell’Urss, e non a caso suscita diffidenza a Mosca. Un confronto difficile, quello fra i sovietici e Togliatti, da cui scaturisce il Memoriale di Jalta. Dove Togliatti indica la necessità di cambiamenti nel movimento comunista e nella stessa Urss. Ma i suoi lucidi consigli non saranno ascoltati, almeno fino a Gorbaciov.

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