La Chiesa nel Giubileo del 2025 mette al centro i detenuti, con l’immagine di papa Francesco dentro il carcere romano di Rebibbia. Subito dopo l’apertura della Porta Santa a San Pietro, il papa ne ha aperta ieri una seconda dentro il penitenziario e proprio la parola “carceri” – insieme a “speranza” e “pace” - è stata scelta da pontefice per caratterizzare l’anno giubilare.

«Non perdete la speranza», sono le parole rivolte dal pontefice ai detenuti del mondo, ma il messaggio del gesto di Francesco, che alle 8.50, dieci minuti prima dell’orario previsto, ha si è alzato dalla sedia a rotelle e ha bussato tre volte ai battenti in metallo che custodiscono la soglia della Chiesa del Padre Nostro, contigua all'istituto di pena. Poi ha celebrato la messa davanti a circa 300 detenuti e al personale della polizia penitenziaria.

A Rebibbia erano presenti anche il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, il capo dimissionario del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Russo, il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, monsignor Benoni Ambarus, vescovo ausiliare di Roma per l'ambito della diaconia della carità, Alessandro Diddi, procuratore generale del tribunale vaticano, e il cardinale José Tolentino de Mendonca, Prefetto del Dicastero della Cultura.

Il gesto del pontefice, tuttavia, supera la dimensione eucaristica e acquista chiare sfumature politiche: è un monito ai governi – quello italiano in primis – sulla necessità di intervenire su un sistema che, tra sovraffollamento e suicidi in cella, continua a essere in emergenza.

Con una richiesta forte, che è destinata a provocare reazioni: nella Bolla di indizione del Giubileo “Spes non confundit”, papa Bergoglio ha chiesto amnistia o gesti di clemenza nei confronti di chi è recluso. Un appello che è subito stato raccolto dai radicali, che con i suoi vertici ha detto che «le nostre conclusioni laiche e quelle della Chiesa coincidono: la grave situazione richiede soluzioni giuste, costituzionali e d'emergenza: l'amnistia, l’indulto».

Parole, queste, che però non sono mai piaciute al governo Meloni, che in questa direzione non ha mai dato alcuno spiraglio di apertura e anche ieri nessuno ha commentato. Nell’estate 2024, con il decreto Carceri, l’esecutivo si è mostrato fermo nel rifiutare qualsiasi scelta emergenziale per alleviare il sovraffollamento, escludendo anche l’aumento del giorni di liberazione anticipata.

Nordio, infatti, nel breve scambio con il pontefice non ha parlato dell’amnistia ma dopo ai cronisti ha spiegato che «insisto nel progetto che porti lo sport e il lavoro nelle carceri» e «i detenuti sono soggetti da comprendere e non scarti». Antonio Tajani ha commentato a distanza che l’apertura della Porta Santa a Rebibbia «impegna tutti noi ad affrontare il tema carceri», ma nulla che riguardi misure di clemenza.

«Ho voluto che la seconda Porta Santa fosse qui, in un carcere», ha detto Francesco, «Ho voluto che ognuno di noi, che siamo qui dentro e fuori, avessimo la possibilità di spalancare le porte del cuore e capire che la speranza non delude. Pensate bene a questo, anche io devo pensarlo perché nei momenti brutti uno pensa che tutto è finito», sono state le sue parole pronunciate a braccio. «La speranza è come l'ancora, tocca la terra. Certe volte la corda fa male, ma sempre c'è qualcosa di buono», ha concluso, «tutti i giorni prego per voi. Penso a voi e prego per voi. E voi pregate per me».

Poi si è trattenuto qualche minuto coi giornalisti, cui ha detto che «il carcere è la seconda basilica dopo San Pietro» e «i detenuti sono persone buone, quando vengo qui la prima domanda che mi faccio è perché loro e non io, perché ognuno di noi può scivolare». Un segnale importante in questi giorni: quello appena trascorso è stato l’ennesimo Natale difficile, al termine di un anno segnato dal record di suicidi.

Il report di Antigone

Anche quest’anno, infatti, Antigone ha prodotto il suo report sullo stato delle carceri, segnalando «drammatici record: quello dei suicidi, quello delle morti in carcere, e una crescita della popolazione detenuta così sostenuta da provocare, già oggi, una situazione di reali trattamenti inumani e degradanti generalizzati», ha detto il presidente Patrizio Gonnella al momento della presentazione, sottolineando proprio la rilevanza dell’attenzione del pontefice. «Ci auguriamo che questa iniziativa del Papa possa riaccendere l'attenzione e la speranza nelle carceri italiane. Speranza che il Governo faccia marcia indietro nei propositi più repressivi e duri».

I dati infatti parlano da soli: nel 2024 non ancora concluso si sono tolte la vita 88 persone e mai il numero è stato così alto, superando anche il tragico primato del 2022, con 84 casi. Suicidi, per altro, che toccano anche persone giovani – almeno 23 avevano tra i 19 e il 29 anni – e quasi la metà sono straniere. Il dato più allarmante, segno del fatto che in carcere manchino gli strumenti per evitare i suicidi, è che 21 avevano già messo in atto un tentativo di suicidio e più della metà era stata coinvolta in eventi critici.

Emerge anche un altro dato significativo: le sezioni i cui i detenuti più si suicidano sono quelle a custodia chiusa con quasi l’80 per cento dei casi, a dimostrazione di come l’approccio totalmente securitario sia anche quello che più produce effetti tragici. Tutti i dati negativi, tuttavia, sono in crescita: negli istituti visitati da Antigone nel corso dell’anno si sono registrati in media ogni 100 detenuti 20,3 atti di autolesionismo (erano 16,3 nel 2023), 2,5 tentati suicidi (2,3 nel 2023), 2,6 aggressioni ai danni del personale (erano 2,3) e 7,7 aggressioni ai danni di altre persone detenute (erano 4,6).Cifre che, per ora, rimangono solo a testimonianza di una emergenza a cui la politica non sa dare risposte.

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