Il sovraffollamento carcerario anche minorile è fuori controllo e i nuovi decreti lo aumenteranno.
Ma la maggioranza ignora la polizia penitenziaria e lottizza l’ufficio del Garante dei detenutiOrmai si trovano quasi tutte fuori dalle città, nascoste dagli occhi dei cittadini e lontane dagli occhi della politica. Le carceri sono una bomba che ticchetta nelle mani del governo Meloni che – apparentemente inconsapevole dell’estate di emergenza appena trascorsa – continua ad approvare decreti in materia di giustizia (dal dl Cutro a quello Caivano) tutti a bilancio invariato ma che vanno tutti nella direzione di aumentare la possibilità di ricorrere alla detenzione, per i minori che delinquono come per i migranti. Trascurando, però, il fatto che che le strutture sono endemicamente sovraffollate.
I dati dell’ultimo rapporto Antigone, infatti, fotografano come i detenuti nelle carceri italiane crescano circa 5 volte di più rispetto all’aumento dei posti, e il dato rischia di aumentare ulteriormente con gli ultimi decreti del governo. Con il risultato che, fronte di una capienza ufficiale di 51.249 posti (cui vanno sottratti i 3646 posti non disponibili), al 30 aprile erano detenute 56.674 persone, di cui il 26,6 per cento in custodia cautelare e dunque senza una condanna definitiva.
Il dato è cresciuto anche per quanto riguarda i minori. Il rapporto 2023 Caritas-Migrantes, infatti, ha evidenziato come si sta assistendo a un consistente aumento degli ingressi di minori in carcere con 1.016 ingressi nel 2022, di cui 520 stranieri. Un fenomeno almeno in parte connesso alle gang giovanili, ma che potrebbe aumentare anche il seguito alle nuove norme sulla detenzione per i minori introdotte dal decreto Caivano.
Secondo le stime dell’ufficio del Garante dei detenuti uscente, infatti, la popolazione carceraria negli istituti minorili è destinata ad aumentare del 20 per cento, in una situazione di strutture già sature.
I problemi del Dap
I problemi, però, riguardano anche l’intera macchina penitenziaria, tra carceri fatiscenti e agenti sul piede di guerra.
Secondo il rapporto Antigone 2021 sui dati del Dap, la polizia penitenziaria - corpo che fa riferimento al ministero della Giustizia - ha un organico di 37.181 unità ma ad oggi sono solo 32.545 gli agenti di polizia penitenziaria realmente operativi, con una carenza di organico del 12,5 per cento che è stabile dal 2019.
La carenza di agenti, però, non è equamente distribuita: si toccano picchi del 20 per cento in Sardegna e Calabria. Tra le situazioni difficili c’è quella di Salerno, dove il sovraffollamento è di 530 detenuti a fronte di una capienza di 350 e con il personale di polizia al collasso, «con quasi 9000 congedi arretrati non fruiti», ha detto l’Unione dei sindacati di polizia penitenziaria.
Il problema è duplice: da un lato la carenza di personale costringe a turni faticosi in un ambiente già di per sè difficile; dall’altro violenza produce violenza, sia da parte dei detenuti che delle forze dell’ordine. Meno poliziotti significa anche meno controlli nelle celle, con in risultato che nel 2022 sono stati 84 i detenuti che si sono suicidati e 87 che sono morti per quelle che vengono indicate come “altre cause” (malattia, overdose, omicidio, cause "da accertare”).
Se ogni nove giorni un detenuto si uccide, ogni 24 ore almeno altri tre tentano di farlo e vengono fermati in extremis.
Questa situazione di violenza, sovraffollamento e scontri tra detenuti e forze dell’ordine ha raggiunto nel corso dell’estate un livello considerato non più sostenibile nemmeno dai sindacati di polizia. Tanto che le sigle sindacali più rappresentative hanno chiesto le dimissioni del capo del Dap Giovanni Russo (toga di Magistratura indipendente e nominato dal guardasigilli Carlo Nordio a dicembre 2022) per «manifesta inadeguatezza» nella gestione dell’emergenza estiva e a proporne la sostituzione con i magistrati Nicola Gratteri (fresco di nomina alla procura di Napoli) o Sebastiano Ardita.
I toni si sono leggermente rasserenati dopo il rinnovo dell’accordo nazionale quadro, dopo diciannove anni di blocco e sei di trattativa. Un documento «fondamentale», ha gioito il sottosegretario Andrea Delmastro, ma è un palliativo che rischia di durare poco se il governo non mette mano alle cause strutturali dell’emergenza.
Il Garante dei detenuti
Come ha fatto con il Dap, il governo ha proceduto con il meccanismo dello spoils system anche per un altro organo nevralgico per la galassia del carcere: l’Ufficio del garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà.
Istituito nel 2013, l’Ufficio nazionale è composto da tre persone e ha poteri di ispezione molto pervasivi non solo nelle carceri, ma anche in luoghi di polizia, residenze per le misure di sicurezza, reparti dove si effettuano i trattamenti sanitari obbligatori. E i centri per i rimpatri che oggi il governo Meloni vorrebbe aumentare, costruendone uno in ogni regione.
Di qui l’attenzione per una figura che, per legge, dovrebbe invece essere indipendente dalla politica e su cui invece si è consumata l’ultima forzatura della maggioranza. Nello scegliere i successori dell’attuale ufficio – presieduto da Mauro Palma, che è tra i fondatori dell’associazione Antigone e si è occupato di carcere per tutta la carriere – al Senato la maggioranza di centrodestra ha impedito l’audizione del candidato presidente Felice Maurizio D’Ettore, un professore di diritto civile e nella passata legislatura è stato deputato di Forza Italia poi passato a Fratelli d’Italia. A lui i senatori non hanno potuto porre alcuna domanda prima di procedere alla votazione, che si è conclusa con il via libera ai candidati ma con Pd e Italia viva che hanno rinunciato a votare per protesta.
Il sospetto, infatti, è che il governo stia puntando a paralizzare l’organo, scegliendo persone evidentemente d’area e dunque prive del requisito dell’indipendenza, ma soprattutto che non si sono mai direttamente occupate di carceri e detenuti. Né D’Ettore, né gli altri due nomi indicati dal governo – Irma Conti che si occupa di penale societario e il professore di diritto privato Mario Serio – hanno infatti esperienza in materia.
Dopo il passaggio alla Camera la pratica passerà al presidente della Repubblica, formalmente deputato a ratificarla
, ma il timore tra chi si occupa di carcere è forte. Fonti interne al mondo degli operatori, infatti, sottolineano: «Senza esperienza specifica, difficilmente il nuovo Garante sarà in grado di svolgere le ispezioni individuando ciò che normalmente nelle strutture si vuole nascondere». Con il rischio di silenziare la voce più autorevole e chiudere l’unico occhio indipendente aperto sull’inferno carcerario.© Riproduzione riservata