Il laico di Fratelli d’Italia Felice Giuffrè propone di fissare i criteri «in ordine alla partecipazione dei magistrati ad eventi pubblici». L’iniziativa dopo l’archiviazione di una pratica contro Stefano Musolino, che aveva partecipato a un dibattito sul ddl Sicurezza. La replica del segretario di Md: «Tentativo di ridurre gli spazi di intervento dei magistrati nel dibattito pubblico in vista del referendum sulla separazione delle carriere»
Al Csm imperversa lo scontro sulla libertà dei magistrati di intervenire pubblicamente.
La questione era finita davanti al Consiglio il 2 aprile con la richiesta di trasferimento per incompatibilità ambientale – – archiviata con con 18 voti a favore, 5 contrari e 2 astenuti – del segretario di Magistratura democratica e aggiunto a Reggio Calabria, Stefano Musolino, presentata dai laici di centrodestra. Nel caso in esame, la toga aveva partecipato in qualità di relatore a un evento del Centro sociale culturale Nuvola Rossa, organizzato dal movimento No Ponte per approfondire le tematiche relative al ddl Sicurezza, ma nell’archiviazione il Consiglio ha ritenuto che la sua condotta «esula dai profili di competenza della prima commissione, poiché si tratta di un'espressione del diritto di manifestazione del pensiero».
Proprio questa archiviazione, però, ha spinto il consigliere laico di area Fratelli d’Italia, Felice Giuffrè, dal richiedere l’apertura di una nuova pratica «per la definizione delle linee guida in ordine alla partecipazione dei magistrati ad eventi pubblici e per l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, di riunione e di associazione nel rispetto dell’interesse costituzionale alla garanzia del prestigio, della credibilità, dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura».
La replica di Musolino
Sull’iniziativa di Giuffrè, Musolino ha commentato con Domani che «mi pare che sia in atto un tentativo di ridurre gli spazi di intervento dei magistrati nel dibattito pubblico. E’ un tema delicato, perché morigeratezza e sobrietà fanno parte del nostro dover essere. Tuttavia, al di fuori di questi criteri e di quelli che determinano concrete incompatibilità processuali, gli altri limiti che si vorrebbero imporre presentano rigidità che avrebbero preoccupanti effetti inibitori».
Musolino, inoltre, sottolinea come la mossa del laico di centrodestra cada «in coincidenza con la prossima stagione referendaria» e questo «inquieta ancora di più».
Il rischio evidenziato dal segretario di Md, infatti, è quello di «amputare il contributo dei magistrati al confronto sul tema dei diritti, in tempi di comunicazione orientata e viziata da chi muove potenti macchine mediatiche, dovrebbe preoccupare tutti quelli che hanno a cuore le libertà democratiche. Perché un’informazione deformata o umiliata nei suoi scopi, rende i cittadini meno consapevoli della rilevanza delle scelte fondamentali che stanno dentro la stagione referendaria».
La pratica
Secondo Giuffrè, invece, «sempre più spesso negli ultimi mesi è stato posto all’attenzione - tanto nell’organo di governo autonomo della magistratura, quanto nel dibattito pubblico - il tema del corretto bilanciamento tra le libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), di riunione (art. 17 Cost.) e di associazione (art. 18 Cost.) del magistrato e i limiti che alle stesse situazioni giuridiche derivano in considerazione del suo particolare status di appartenente all’ordine giudiziario e, dunque, in ragione delle delicatissime funzioni che l’ordinamento gli assegna».
Nella richiesta, il consigliere laico ha specificato come la rilevanza della questione sia stata dimostrata in particolare «da alcune prese di posizione assunte da parte di autorevoli esponenti apicali dell’ordine giudiziario e da alcune componenti della magistratura associata». Un riferimento nemmeno troppo velato alle prese di posizione in passato sia di Musolino che di Silvia Albano, presidente di Md, in materia di migranti, e ai duri comunicati delle correnti sulla riforma della separazione delle carriere.
A sostegno della sua iniziativa, Giuffrè ha richiamato anche gli interventi della prima Presidente della Corte di Cassazione Margherita Cassano, che in plenum aveva auspicato l’apertura di una pratica in Sesta Commissione per la formulazione di apposite linee guida a tutela del prestigio dell’ordine giudiziario, e una mozione presentata dalla corrente conservatrice di Magistratura indipendente all’Anm, che però non è stata votata dalle altre componenti associative.
Per questo c’è la «necessità di definire linee guida in ordine alla partecipazione dei magistrati in contesti pubblici o aperti al pubblico (interviste, programmi televisivi, convegni, dibattiti, social network, etc.) al fine di precostituire un valido parametro di bilanciamento tra le libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), di riunione (art. 17 Cost.) e di associazione (art. 18 Cost.) con l’interesse costituzionale alla tutela del prestigio e della credibilità dei magistrati e dell’ordine giudiziario nel suo complesso».
La questione dei limiti e delle condizioni alle quali i magistrati possono prendere parte al dibattito pubblico è un tema al centro anche dello scontro tra le toghe e il governo. Da ultimo lo ha fatto il sottosegretario Alfredo Mantovano durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio Nazionale Forense, secondo cui «il rischio è che la magistratura percepisca se stessa non già come chi è chiamato a esercitare l'arte regale dello ius dicere nel caso concreto, bensì come parte di un establishment che ha la funzione di arginare la 'pericolosa' deriva della coerenza fra la manifestazione del voto, la rappresentanza politica e l'azione di governo».
La situazione attuale
In questo contesto, dunque, si inserisce la pratica di Giuffrè, in un momento caldo per la magistratura associata, che sta organizzando le forze per un comitato per il no, in vista del quasi certo referendum costituzionale sulla riforma della separazione delle carriere.
Qualora la richiesta del laico di centrodestra venisse accolta, non sarebbe semplice predisporre linee guida che bilancino i diritti costituzionali riconosciuti ai magistrati con un un insieme di limiti, la cui cogenza influirebbe sulle decisioni del Consiglio in materia disciplinare ma porrebbe eventuali profili di costituzionalità.
Ad oggi, il codice etico dell’Anm prevede che «fermo il principio di piena libertà di manifestazione del pensiero, il magistrato si ispira a criteri di equilibrio, dignità e misura nel rilasciare dichiarazioni ed interviste ai giornali e agli altri mezzi di comunicazione di massa, così come in ogni scritto e in ogni dichiarazione destinati alla diffusione.
Dal punto di vista disciplinare, invece, l’illecito ipotizzabile è quello dell'articolo 3, che riguarda i comportamenti fuori dall’esercizio delle funzioni.
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