Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha promulgato il ddl Nordio, che contiene l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, che così è definitivamente legge dello Stato.

La firma è arrivata in extremis, allo scadere del mese di tempo previsto dalla Costituzione, ed è stata senza rilievi e dunque senza alcuna lettera accompagnatoria, che nei giorni scorsi era stata temuta da via Arenula.

La polemica

Non è stato un caso che il Quirinale abbia atteso che il parlamento abbia convertito il decreto carceri, che conteneva l’introduzione del reato di peculato per distrazione, che di fatto rende penalmente rilevante una parte della fattispecie abrogata con l’abuso d’ufficio. Proprio questa mossa era considerata indispensabile per scongiurare almeno parzialmente il rischio di procedura di infrazione Ue per il mancato rispetto delle direttive.

L’effetto dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio sarà duplice: da un lato verranno archiviati tutti i procedimenti penali in corso per questa ipotesi di reato, dall’altra verranno revocate circa 3.600 condanne – secondo i dati ministeriali – già passate in giudicato dal 1997 al 2022, a meno che non sia configurabile un altro reato.

Non solo, non saranno più punibili almeno tre condotte particolarmente odiose: l’abuso di vantaggio, che prevede la strumentalizzazione del potere da parte del pubblico ufficiale per fini personali; l’abuso di danno, nel caso in cui l’abuso serva a provocare un danno ingiusto a un cittadino e l’omessa astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, che è una forma di tutela rispetto al conflitto di interessi.

I rischi di incostituzionalità

Grazie alla conversione in legge del decreto Carceri è stato introdotto il reato di peculato per distrazione (il pubblico ufficiale che destini denaro o altri beni a un uso diverso rispetto a quello a cui sono destinati), che prima rientrava nell’abuso d’ufficio.

Proprio questa corsa ai ripari del governo in un decreto legge che, almeno nominalmente, doveva occuparsi dell’emergenza carceraria e non certo dell’introduzione di nuovi reati, è servita a mettere una toppa al problema di incostituzionalità più evidente del ddl Nordio.

L’Italia, infatti, è formalmente obbligata da una direttiva del 2017 a prevedere il reato di appropriazione e distrazione di denaro e altri beni a danno degli interessi finanziari dell’Ue, così è stato necessario “resuscitare” un reato ad hoc.

Tuttavia i rischi di incostituzionalità e di apertura di una procedura di infrazione europea non sono scongiurati. L’ipotesi di una questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta è possibile per violazione di una convenzione internazionale. La convenzione di Merida in materia di corruzione fissa un impegno di incriminazione per le condotte che erano previste dall’abuso d’ufficio.

Il rischio più impellente, invece, è quello di una procedura di infrazione europea, i cui step sono prima una lettera di messa in mora allo stato per permettergli di correggere, poi una citazione in giudizio davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea e poi una eventuale condanna con sanzione pecuniaria.

L’introduzione del peculato per distrazione non incontra tutti i requisiti previsti dalla direttiva Ue: prevede la responsabilità solo delle persone fisiche e anche la pena è troppo bassa. La direttiva, invece, prevede che la responsabilità esista anche per le persone giuridiche (quindi le società) e che il massimo edittale debba essere almeno quattro anni reclusione, nel caso di danno agli interessi finanziari della Ue oltre i 100mila euro. Il nuovo reato prevede la pena massima di tre anni. 

Cosa prevede il ddl Nordio

Il testo abroga l’abuso d’ufficio e introduce limitazioni alle intercettazioni. Non ne vengono toccati il numero o i presupposti, ma se ne limita la pubblicazione solo ai contenuti intercettati «riprodotti dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento».

L’obiettivo, in questo caso, è di tutelare i cosiddetti terzi estranei, limitando la divulgazione di quanto captato dai telefoni alle parti che si considerano penalmente rilevanti. Sempre in quest’ottica, viene previsto che in capo al giudice sorga il dovere di «stralciare le intercettazioni» che contengano «dati personali sensibili, anche relativi a soggetti diversi dalle parti».

A livello procedurale, le modifiche riguardano la fase delle indagini preliminari. Sorge l’obbligo di interrogatorio preventivo della persona di cui il pm ha chiesto l’arresto, con la comunicazione almeno cinque giorni prima (ma il gip può abbreviare il termine per ragioni d’urgenza).

Inoltre, con la richiesta d’arresto il pm deve depositare tutti gli atti così che l’indagato possa prenderne visione e la richiesta di misura cautelare in carcere verrà vagliata da un collegio di tre giudici e non più dal gip. Quest’ultima misura, però, entrerà in vigore tra due anni, per permettere nuove assunzioni.

Altro elemento dirompente è il divieto del pm di presentare appello contro le sentenze di proscioglimento, ma solo nei casi di «reati di contenuta gravità», ovvero quelli per cui si prevede la citazione diretta a giudizio. Questo articolo rischia di essere il più controverso, perché una norma simile venne dichiarata incostituzionale dalla Consulta nel 2006.

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