Per capire la dannosità della cosiddetta riforma della giustizia vergata da Carlo Nordio, il “magistrato-ministro” che pasteggia a champagne, bisogna fare un passo indietro. Bisogna andare a Salerno, in Campania, e raccontare una storia che chiarisce un dato: l’abolizione dell’abuso d’ufficio, bandiera del provvedimento, è un piacere ai colletti bianchi e un danno irreparabile per i senza potere, per chi non ha santi in paradiso. Non solo. Spiega anche altro, l’abuso d’ufficio non è reato spia, ma un elemento cardine di quel sistema di illegalità che diventa impalcatura su cui si edifica il crimine organizzato.

La bomba e la casa

Al tribunale di Salerno è in corso un processo che mette sotto accusa l’impero monopolistico delle coop di Fiorenza Zoccola. I pm contestano affidamenti e proroghe per mantenere in vita le cooperative e costruire «il consenso per il consenso» nel regno di Vincenzo De Luca. Il presidente è uscito intonso dal procedimento penale. Chi invece è imputato è un consigliere regionale amico, si chiama Giovanni Savastano, detto Nino.

Cosa c’entra l’abuso d’ufficio in tutto questo? Bisogna tornare indietro nel tempo a un’altra vicenda giudiziaria. L’ascesa inarrestabile di Savastano inizia nel 2002, quando si inaugura l’eldorado delle coop e il tramonto di una politica locale, coraggiosa e stimata: Rosa Masullo, detta Rosellina.

Davanti all’ufficio di Masullo era stato piazzato un ordigno. Da assessora alla Casa aveva respinto intimidazioni e minacce e ordinato lo sgombero del boss D’Agostino che occupava una casa popolare senza averne i titoli. I collaboratori di giustizia che parlano con gli inquirenti riferiscono di un boss furioso che voleva colpire il figlio dell’assessora o incendiarle l’auto.

Poi decide per l’ordigno che per fortuna resta inesploso. Per quell’intimidazione viene condannato. In aula c’è solo Masullo, per un errore tecnico il comune di Salerno non si era costituito parte civile. Masullo viene presto accompagnata alla porta della politica che conta, al suo posto con la delega alle politiche sociali e all’emergenza abitativa arriva Nino Savastano. E la sua stella inizia a brillare.

Savastano aveva un’amicizia pesante proprio con D’Agostino, il boss sgomberato da Rosellina. Troppo amico, tanto da finire indagato, processato e poi assolto per il reato di concorso esterno in associazione camorristica. Chi lo ha assolto descrive di quei rapporti, i voti, i favori che però non provano la connivenza perché i D’Agostino erano «camorristi, ma anche i compagni di infanzia del Savastano cresciuto nel Rione Petrosino», scrive la giudice Dolores Zarone nella sentenza del 2008.

In realtà Savastano viene condannato, ma solo per il reato d’abuso d’ufficio. Proprio quello che viene cancellato dal ministro-magistrato Nordio con la menzogna che non serva a niente e niente abbia da spartire con i sistemi criminali mafiosi. La ragione della condanna è chiara e serve a spegnere la propaganda: Savastano (poi riabilitato) aveva fatto ottenere un alloggio popolare alla moglie di D’Agostino, il mandante dell’ordigno. Masullo fuori, Savastano dentro e il camorrista torna a casa. Questo è successo.

Se questa storia fosse avvenuta oggi, non ci sarebbe stata alcuna sanzione penale grazie al “libera tutti” di Nordio. Il ministro, mentre vergava il pasticcio giuridico, ha introdotto, per volere dell’Europa, un nuovo reato, una toppa peggiore del buco.

La norma sull’abuso d’ufficio prevedeva quattro condotte diverse, solo una è stata reintrodotta attraverso il peculato per distrazione, ma era quella meno ricorrente. Il caso in esame non sarebbe più punibile, anche perché la nuova fattispecie si riferisce unicamente ai beni mobili e non agli immobili, come denunciano diversi giuristi.

Questa riforma genera sacche di impunità, azzera la domanda di giustizia, un cittadino vittima dovrebbe rivolgersi al Tar con enorme dispendio di denaro, e cancella le 3.600 condanne già inflitte, si salveranno solo le pochissime rientranti nel peculato per distrazione. I casi di impuniti, però, non si fermano solo alle case restituite ai boss.

Amici miei

Con l’abolizione dell’abuso d’ufficio si legalizzano i concorsi truccati, visto che la Suprema corte ha stabilito che in questi casi non si applica la turbativa d’asta, ma si lascia impunita anche l’assegnazione di posti ad amici e famigliari, con buona pace dello sbandierato merito.

Anno 2002, in provincia di Caserta, un ex sindaco è stato condannato in via definitiva per abuso d’ufficio. Cosa aveva fatto? Aveva assunto 75 persone, amiche di amici e di rappresentanti della pubblica amministrazione locale, senza rispettare le liste di collocamento e neanche le graduatorie, e senza nemmeno pretendere la presentazione della domanda di assunzione da parte degli aspiranti impiegati.

Un eldorado purtroppo rovinato dalla condanna. Oggi potrebbe farlo liberamente senza l’ansia dell’indagine penale. È la giustizia del ministro Nordio, il ministro che pasteggia a champagne e impunità.

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