Per l’ex procuratore antimafia FdI «vuole indebolire la magistratura». Poi ricorda Falcone: «Voleva rispetto e collaborazione con la politica»
«La guerra tra poteri è la negazione dello stato di diritto» è la sintesi di Franco Roberti, ex procuratore nazionale antimafia ed ex europarlamentare del Pd, per commentare lo scontro tra magistratura e governo in merito alla presunta ma inesistente inchiesta su Arianna Meloni.
Cosa sta accadendo, secondo lei?
La premessa è che stiamo ragionando sul nulla, perché non esiste alcun fatto concreto che autorizzi a supporre che ci sia un avvio di indagini a carico di Arianna Meloni. Il punto è un altro: la strumentalizzazione di questa non notizia da parte del governo e dei giornali d’area.
Questo rientra in quella strategia di vittimismo inaugurata dal governo e la leggo come un modo per mettere le mani avanti e prevenire così eventuali asseriti attacchi, ma anche per giustificare i fallimenti e l’inadeguatezza del governo rispetto ai problemi enormi che ha davanti e che dovrebbe affrontare.
La magistratura è il nemico perfetto?
Indebolire e screditare la magistratura, suffragando l’esistenza di una sorta di complotto, si iscrive nella strategia che punta a concentrare il potere nelle mani del governo. Il raggiungimento di questo obiettivo passa ineluttabilmente per l’indebolimento degli altri poteri di garanzia. Così il premierato depotenzia il Quirinale, la separazione delle carriere indebolisce la magistratura, l’autonomia differenziata toglie potere al parlamento.
Il governo sostiene che le riforme non tocchino i poteri delle toghe. Lei cosa pensa?
Io penso che la riforma del Csm, la separazione delle carriere, l’abrogazione dell’abuso d’ufficio e la riscrittura del reato di traffico di influenze illecite, insieme alla mancata riforma carceraria facciano parte di una strategia di svuotamento dei poteri della magistratura. Questo indebolimento è funzionale al fine di concentrare il potere nelle mani dell’esecutivo e, per farlo, viene usata l’arma del discredito, anche propalando notizie ad oggi infondate. Una tecnica già vista altrove.
A cosa si riferisce?
La relazione dell’Ue sullo stato di diritto che Meloni ha criticato ha segnalato rischi per l’Italia, con riferimento sia alla libertà di informazione che alle riforme in corso in materia di giustizia. Ricordo che Ungheria e Polonia sono sotto accusa proprio per violazione dello stato di diritto e, in quei paesi, la strategia è stata quella di screditare la magistratura, per poi assoggettarla all’esecutivo. Questi precedenti dovrebbero insegnare qualcosa e l’allarme europeo andrebbe accolto.
L’Anm è intervenuta, parlando di delegittimazione delle toghe e chiedendo l’intervento del Csm. Sarebbe necessario?
In condizioni normali sarebbe giusto chiedere e anche aspettarsi che il Csm intervenga, spendendo una parola a tutela dell’istituzione rappresentata dal potere giudiziario, a tutela dell’equilibrio tra poteri e dello stato di diritto. Credo però purtroppo che un intervento non ci sarà, perché il Csm sta attraversando un momento di difficoltà interna.
È un Csm senza voce, quindi?
È un Csm in cui chi potrebbe parlare sembra non avere voce. Non ho sentito nella parte togata e men che meno tra i laici una voce che esprima una opinione autorevole a nome del Consiglio.
La magistratura è sola davanti agli attacchi?
Il Quirinale è intervenuto molte volte a difesa dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, ma mai in riferimento a casi specifici. Tuttavia, il Colle che è anche presidente del Csm è forse l’unica istituzione che, per prestigio e unanime credibilità, potrebbe dire una parola di ragionevolezza e di richiamo al rispetto reciproco tra giustizia e politica.
La magistratura ha qualche responsabilità rispetto alla situazione?
La magistratura associata ha certamente responsabilità e la vicenda Palamara ha lasciato uno strascico sul piano della credibilità dell’istituzione. Le sue scorie ancora avvelenano l’immagine della magistratura. Però il Csm rimane l’organo che dovrebbe ripristinare l’ordine nei rapporti istituzionali. Criticare un magistrato è legittimo e lo è anche criticare una sentenza, ma quella di questi giorni è una azione preventiva per gettare un’ombra di sospetto sull’intera categoria. È questa genericità che radica la strumentalità dell’iniziativa del centrodestra.
La domanda allora è: quale deve essere la reazione delle toghe?
La magistratura deve continuare a fare il suo lavoro, in modo credibile e in silenzio. In questo momento tutti i poteri dello stato vivono una condizione di debolezza e un recupero di autorevolezza passa necessariamente per uno scatto di buona volontà dei singoli.
Penso all’esempio di Giovanni Falcone, che andò al ministero della Giustizia anche incassando forti critiche, ma in virtù di una visione più lungimirante. Lui era convinto che, se non si fosse creato un clima di reciproco rispetto e collaborazione tra politica e magistratura non se ne sarebbe usciti. Questo lui voleva fare, glielo hanno impedito uccidendolo.
Questo clima influisce sul contrasto alle mafie?
Lo rende certamente più difficile, perché il contrasto alle mafie si fonda su tre pilastri: l’antimafia politica, sociale e giudiziaria. Servono tutti e tre, altrimenti il contrasto si indebolisce. Falcone insisteva sul fatto che l’equilibrio tra poteri è essenziale per l’affermazione della legalità e che il potere politico e quello giudiziario devono essere autonomi e indipendenti per essere forti e credibili. Penso ai miei anni da procuratore nazionale antimafia: la collaborazione con la commissione Antimafia di Rosy Bindi fu un’esperienza straordinaria. Dovrebbe essere sempre così.
Ora invece?
Ora purtroppo stiamo assistendo a uno scenario politico che nel suo insieme è screditato e a un governo che reagisce tentando di screditare la magistratura, invece che rispettarla e pretendere rispetto.
© Riproduzione riservata