«Un numero due passato presto all’irrilevanza». La frase, pronunciata da un funzionario che conosce bene il carcere, descrive vita, opere e fallimenti di Giovanni Russo, magistrato e dal dicembre 2022 capo dell’amministrazione penitenziaria. Il Dap è il dipartimento del ministero della Giustizia che dovrebbe occuparsi dell’universo carcere. Il condizionale è d’obbligo, visto che il sistema è ormai collassato. Uno stallo che è dovuto anche al conflitto tra le anime che convivono nel palazzo di via Arenula e che hanno trovato, quasi due anni fa, una complicata mediazione puntando proprio su Russo.

Il sostituto di Gratteri

Il numero uno del Dap ha una lunga esperienza alle spalle iniziata, negli anni Ottanta, nella procura calabrese di Castrovillari prima di trasferirsi da pubblico ministero a Napoli, terra natia (è originario di Marigliano). Una carriera che lo ha portato alla Dna, la Direzione nazionale antimafia, dove è diventato sostituto procuratore, prima di assumere l’incarico di aggiunto. Per alcuni mesi è stato anche reggente in Via Giulia, quando l’ex capo Federico Cafiero De Raho, oggi deputato del M5s, è andato in pensione. Era lì quando negli uffici della direzione nazionale lavorava Pasquale Striano, militare della guardia di Finanza, finito sotto indagine della procura di Perugia perché avrebbe effettuato illegittimamente migliaia di accessi alle banche dati. L’inchiesta coinvolge alcuni giornalisti (tra gli indagati c’è anche chi scrive) e il magistrato Antonio Laudati che era un gradino sotto nella scala gerarchica di Russo, quest’ultimo estraneo alle indagini. Eppure gli strali delle destre, nei giorni caldi in cui i giornali raccontavano la vicenda, si concentravano unicamente sulla gestione De Raho, salvando Russo da qualsiasi critica. Il magistrato è fratello di Paolo, per anni deputato di Forza Italia, e poi transitato in Azione. Nei giorni della scelta del nuovo capo del Dap Fratelli d’Italia spingeva per Nicola Gratteri, oggi procuratore capo a Napoli, ma alla fine l’accordo di coalizione è arrivato sul nome di Russo, la seconda scelta, spinto anche dal potentissimo sottosegretario, Alfredo Mantovano.

«Per capire l’impossibilità di cambiare registro devi partire da una domanda, perché, in stagioni politiche diverse, Nino Di Matteo e Gratteri sono arrivati alle porte del dipartimento e poi sono stati scalzati dalla poltrona più alta? Perché sarebbe cambiato tutto, invece, oggi comanda la burocrazia ministeriale e vince il Gattopardo», dice chi conosce a menadito personale, carcere e dipartimento.

Il sistema carcere è al collasso, ci si avvicina al record di suicidi, siamo a 66 tra i detenuti e sette tra gli agenti penitenziari, ogni giorno si registrano rivolte, sommosse, feriti e violenze. Un bollettino di una guerra che in tv quasi non si vede come se non esistesse. Il principale sindacato dei dirigenti di polizia penitenziaria era arrivato addirittura a suggerire ai parlamentari che si recano in carcere a Ferragosto di evitare le visite «perché si portano dietro le scie di rivolta».

Raggiungiamo un direttore di un carcere di media grandezza che, dietro l’anonimato, racconta lo stato di abbandono e isolamento. «Non siamo in grado di esercitare alcuna prerogativa propria del ruolo poiché privati di qualsiasi potere connesso alla funzione. Siamo responsabili di qualsiasi cosa possa accadere all’interno di un carcere ma non abbiamo alcun potere per gestirlo: l’autonomia contabile è limitata poiché ci sono pochi fondi destinati alla manutenzione ordinaria, negli istituti manca tutto anche sistemi contro le intrusioni. Abbiamo una quantità di detenuti psichiatrici abbandonati unicamente agli agenti», dice. E Russo? «Le interlocuzioni con i vertici sono solo censorie, non siamo mai stati ascoltati dal capo. La distanza tra politica penitenziaria e strutture periferiche è ormai incolmabile», conclude, ricordando la difficoltà di rilasciare interviste per via delle tardive autorizzazioni.

Le sospensioni a caso

Alla distanza con i direttori si aggiunge la questione delle sospensioni che crea malumore tra gli agenti. Ci sono poliziotti riammessi in servizio, come nel caso dei registi del pestaggio e del depistaggio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, mentre altri restano sospesi per vicende diverse e meno gravi, senza dimenticare quelli indagati e promossi, come raccontato più volte da Domani.

Alla bocciatura della gestione Russo si aggiungono anche i sindacati, ma solo alcuni. «Ci ha convocati la prima volta per il saluto di presentazione il 26 gennaio del 2023 e la seconda il 31 luglio scorso (dopo un anno e mezzo). In mezzo il vuoto. Nell'ultima riunione ha dipinto una situazione lontanissima da quella reale», dice Gennarino De Fazio, che guida la Uilpa. «Il nulla cosmico di Russo è dovuto anche al protagonismo di Delmastro che è riuscito in un’unica operazione, quella di farsi amare da quasi tutti i sindacati.

Non è da escludere un possibile avvicendamento, Russo diventerebbe la vittima sacrificale del disastro», dice Aldo Di Giacomo, segretario del sindacato di polizia penitenziaria. Al posto di Russo sarebbe già pronta la preferita di Fdi e di Delmastro, Lina Di Domenico. Solo un’ipotesi, la realtà è che il carcere è al collasso.

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