Dopo la riforma delle intercettazioni e quella del Csm, tra i propositi del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ne ne è aggiunto uno nuovo: la modifica della custodia cautelare.

L’ennesimo annuncio del guardasigilli – che lo ha messo nero su bianco in un comunicato del ministero come tema di cui parlerà niente di meno che con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un inusuale incontro a settembre – è stato la miccia per le contraddizioni nel centrodestra, tenute faticosamente sopite nella stesura del decreto Carceri.

Il decreto, infatti, ha messo in luce le profonde divergenze culturali interne alla maggioranza in materia di giustizia, con una spaccatura che ha riguardato anche la compagine ministeriale: da una parte il viceministro azzurro Francesco Paolo Sisto, che ha tentato fino all’ultimo di salvare gli emendamenti del compagno di partito Pierantonio Zanettin, che avrebbero inciso anche sulla liberazione anticipata dei detenuti, dall’altra i sottosegretari Andrea Ostellari e Andrea Delmastro.

Persa quella battaglia e dopo l’approvazione di un decreto carceri per nulla incisivo in modo concreto sull’emergenza sovraffollamento e suicidi, il ministro Nordio ha proposto una nuova ricetta (di fatto evidenziando l’inutilità del decreto legge appena approvato): modificare i presupposti per la custodia cautelare in carcere, sulla scia dell’ordine del giorno del deputato di Azione, Enrico Costa, passato dopo una riformulazione con il parere favorevole del governo.

La posizione del guardasigilli va nella direzione di incidere per rendere più stringente la motivazione in caso di «rischio di reiterazione del reato», mentre l’odg Costa prevede di impedire l’applicazione della custodia cautelare sul presupposto del rischio di reiterazione del reato, nel caso in cui l’indagato sia incensurato e sotto indagine per reati non violenti (per esempio, quelli contro la pubblica amministrazione).

Nessuna riforma è ancora stata messa per iscritto, ma la proposta Nordio ha subito incontrato il favore di Forza Italia, da sempre favorevole a stringere sulle misure cautelari. Anche la Lega ha mostrato apertura a questa posizione, sulla scia del sostegno di Matteo Salvini all’ex governatore ligure Giovanni Toti, che in custodia cautelare domiciliare ha trascorso 85 giorni prima della revoca. La maggiore contrarietà, invece, si incontra dentro Fratelli d’Italia.

Il partito di Giorgia Meloni, infatti, viene da una cultura politica molto diversa e la stessa premier si sarebbe mostrata scettica sulla strada ipotizzata dal suo ministro. Meloni non ha intenzione di sentir parlare di «svuota carceri» e le uniche misure che avrebbe condiviso con Nordio avrebbero riguardato la creazione di nuove carceri – per cui il ministero intende nominare un commissario – e l’assunzione di nuovi magistrati di sorveglianza. Riformare la custodia cautelare, del resto, significherebbe infilarsi in un nuovo ginepraio giuridico e potenzialmente riaccendere lo scontro già in atto con la magistratura.

Non a caso sul tema è immediatamente intervenuta l’Associazione nazionale magistrati. Il segretario Salvatore Casciaro ha definito il decreto legge sul carcere come «tardivo e inefficiente» e bollato l’intervento sulla custodia cautelare come «non il più indicato» se fatto «con un approccio che ne riduca l’applicazione per i reati contro la pubblica amministrazione, i quali non sono affatto meno gravi perché minano in profondità la stabilità e la sicurezza della società civile».

I numeri

Rimanendo nel merito della questione – l’emergenza carceraria con un sovraffollamento record e ormai 65 suicidi da inizio anno – la scelta di intervenire sulla custodia cautelare per risolvere il problema non è sostenuta dai dati.

Secondo i numeri sul sito del ministero della Giustizia, al 31 luglio 2024 su 61.133 detenuti (la capienza massima è di 51.207 posti), circa il 25 per cento del totale è in custodia cautelare. Si tratta quindi di 15.285 persone, di cui più della metà (il 54 per cento) sono in attesa di primo giudizio e i rimanenti sono appellanti o ricorrenti in Cassazione.

Un numero, quindi, che anche se ridotto (l’ipotesi di riforma riguarda un segmento con specifici requisiti) incontrerebbe forse un principio di maggiore garantismo giuridico ma non inciderebbe in modo sostanziale sul sovraffollamento.

Va inoltre considerato che, nell’arco degli ultimi quindici anni, il numero delle custodie cautelari si è già ridotto in modo significativo. Basti pensare che nel 2010 – l’anno in cui l’Italia è stata condannata dall’Ue con la sentenza Torreggiani per il sovraffollamento (i detenuti erano quasi 68mila) – i detenuti in carcerazione preventiva erano addirittura il 42 per cento (28mila reclusi), contro il 25 per cento di oggi.

Come ha fatto notare sulla rivista Sistema penale il giurista Gian Luigi Gatta, dunque «l'ordinamento ha già puntato fortemente sulla riduzione della custodia in carcere per arginare il sovraffollamento, senza però evidentemente riuscirci, purtroppo. Le cause, verosimilmente, sono da ricercarsi altrove. Questo suggeriscono i numeri».

L’altra strada aperta da Nordio, seppur più facilmente percorribile, è comunque lenta. Il ministro ha annunciato di voler chiedere al Csm di implementare i numeri dei giudici di sorveglianza, così da velocizzare lo smaltimento delle pratiche per i detenuti. A oggi i magistrati di sorveglianza sono 236, insufficienti per la mole di lavoro, tanto che nella categoria si parla di almeno 1000 toghe necessarie in più. Arrivare a questo numero, tuttavia, presuppone nuovi concorsi (già in atto) oppure il trasferimento volontario a questa funzione, e dunque un percorso non immediato.

L’unica iniziativa concreta uscita dal ministero in queste ore ha riguardato il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: è stato pubblicato l’interpello per il reclutamento del Gio, il nuovo gruppo d’intervento operativo della polizia penitenziaria che dovrebbe sedare e contenere le rivolte in carcere, voluto dal sottosegretario Delmastro sul modello francese, che in passato ha ricevuto giudizi critici da parte dell’organismo europeo che si occupa di tutela dei diritti dei detenuti.

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