Sulla nave Libra otto persone trattenute in attesa del trasferimento al cpr di Gjader. Guerra alle toghe: il Colle spiazzato dal colloquio tra la premier e il vice del Csm
Anche se l’esito è già scritto, il governo è deciso a fare il bis: nelle prossime ora, infatti, sono attesi nel centro migranti in Albania almeno otto nuovi migranti, intercettati dalle autorità italiane nel Mediterraneo e trasferiti sulla nave Libra della Marin. Il gruppo è stato selezionato dopo il salvataggio di oltre 155 persone.
La procedura è la stessa della prima operazione delle scorse settimane: i migranti vengono sottoposti a uno screening per verificare che abbiano i requisiti per venire trasferiti nei centri albanesi; nell’hotspot si procede all’identificazione e chi viene sottoposto al trattenimento – se uomo, maggiorenne e proveniente da paese sicuro – finisce nel cpr di Gjader in vista del rimpatrio, chi invece non ha i requisiti viene portato in Italia.
Come già accaduto, però, l’ultima parola sui trattenimenti spetta al tribunale di Roma, che dovrà convalidarli o meno. Proprio il mancato trattenimento, nelle scorse settimane, ha scatenato lo scontro al calor bianco tra governo e magistratura: gli uni rivendicando il proprio primato nel definire i paesi sicuri con il decreto legge, i secondi facendo prevalere le regole europee sui paesi sicuri e rinviando preventivamente alla Corte di giustizia Ue il decreto.
In attesa che i giudici del Lussemburgo si esprimano con l’urgenza sollecitata dalle toghe italiane – i rinvii sono due, uno da parte del tribunale di Bologna e uno da quello di Roma, che è anche competente territorialmente per trasferimenti in Albania – sui destini dei migranti si sta già consumando uno scontro politico tra istituzioni. Governo da una parte, magistratura associata dall’altra. E ora gli effetti dello scontro si sono riversati anche sull’organo di governo autonomo delle toghe, coinvolgendo anche sul presidente della Repubblica che del Csm è presidente.
Per capire esattamente cosa sia successo, è necessario ricostruire le ultime ore. Lunedì pomeriggio, a Bologna, si è svolta una assemblea straordinaria dell’Associazione nazionale magistrati, per discutere in particolare degli attacchi personali che i giudici hanno subito da parte del governo, in seguito alle decisioni prese in materia migratoria. L’evento, molto partecipato, ha visto la partecipazione di alcuni consiglieri del Csm e tutte le correnti – dai conservatori di Mi fino a Unicost, ai progressisti di Area e Md – hanno ritrovato unità nell’esprimere solidarietà nei confronti dei colleghi colpiti.
Proprio mentre la sala del tribunale bolognese si svuotava, da palazzo Chigi è arrivato un comunicato stringato ma insolito nella sua irritualità: la premier Giorgia Meloni ha incontrato il vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli e «la visita si inserisce nell’ambito di una proficua e virtuosa collaborazione, nel rispetto dell’autonomia delle differenti Istituzioni».
La notizia è stata un detonatore che ha fatto balzare sulla sedia sia i consiglieri di palazzo Bachelet che il Quirinale.
Il passo falso
I consiglieri togati, infatti, hanno fatto trapelare tutta la loro irritazione: l’incontro viene definito «irrituale» dai più cauti e «inopportuno» dai più arrabbiati. E solleva due domande: a che titolo Pinelli sarebbe andato a parlare con Meloni? Ma soprattutto, cosa si sono detti? Nessuno, tra i consiglieri, ne è al corrente e questo rimanda al primo quesito. Il Csm, infatti, è organo collegiale e Pinelli è vicepresidente, non il vertice.
Dunque la delega a un confronto – pur inusuale – con l’esecutivo avrebbe dovuto arrivare dal plenum, cosa mai avvenuta. Per questo quattordici consiglieri (i togati di Area, Unicost e Md con gli indipendenti Andrea Mirenda e Roberto Fontana e il laico Roberto Romboli. Non hanno firmato invece i conservatori di Mi) hanno presentato una richiesta formale alla vicepresidenza di «volerci rendere edotti dei contenuti dell’incontro, affinché il Consiglio possa avere contezza di un passaggio tanto rilevante istituzionalmente». Anche perché, viene fatto notare, è avvenuto «in un momento particolarmente delicato nei rapporti tra politica e magistratura».
Fuori dal sottinteso: l’incontro tra Meloni e Pinelli, reso noto da Chigi, ha avuto il sapore di un modo indiretto di comunicare che il governo parla con la magistratura istituzionale e il problema è con le toghe «comuniste», come le ha definite il vicepremier Matteo Salvini. Lo scopo dell’incontro, trapela da fonti di FdI, sarebbe stato quello di mostrare come «il governo non è affatto contro la magistratura» ma contro quella quota più politicizzata che «alza il livello dello scontro», usando i migranti per frenare la riforma della separazione delle carriere. Se questa è stata la finalità politica di rivelare la notizia dell’incontro, la mossa ha però messo in difficoltà Pinelli, che probabilmente ne ha sottovalutato la valenza.
Dal Csm filtra un ridimensionamento dell’accaduto: quello con Meloni viene definito un normale incontro istituzionale programmato e dunque non legato alle contingenze di questi giorni, di cui il Quirinale era stato per tempo avvertito. Eppure, fonti del Quirinale infatti confermano la «sorpresa» del Colle.
Mattarella era sì informato del fatto che un incontro tra Pinelli e Meloni era in programma, ma il punto non è l’incontro in sé, quanto il merito. Ovvero: l’incontro avrebbe dovuto avere veste ufficiosa, invece il comunicato di palazzo Chigi gli ha conferito il peso dell’ufficialità. «Informazione sull’incontro c’è stata, ma non sul merito della discussione», viene spiegato. Il comunicato infatti ha parlato di «proficua e virtuosa collaborazione», ma il vicepresidente Pinelli non ha avuto alcun mandato dal presidente Mattarella di discutere di questo. Di qui la sgrammaticatura istituzionale, che proprio il comunicato di Chigi ha fatto emergere.
Di questi tempi e modi discutibili Pinelli dovrà rispondere al plenum, ma ormai il passo falso è stato fatto: adombrare l’ipotesi che il Csm possa subire l’influenza politica del governo, nei giorni di massima tensione con le toghe e proprio quando è alle porte una riforma che cambierà la fisionomia dell’organo.
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