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I dati mostrano come il nuovo codice sottrae quasi tutti gli appalti pubblici alla competizione tra aziende. Con il rischio di progetti più veloci ma pilotati, a scapito di trasparenza e risparmio.
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Secondo le previsioni normative, infatti, tutti gli affidamenti fino a 150 mila euro devono avvenire in via diretta e gli affidamenti fino a 5,3 milioni di euro devono svolgersi con procedura negoziata ma senza bando pubblico.
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I piccoli comuni, poi, potranno agire da stazione appaltante con affidamenti diretti fino a 500 mila euro.
Il nuovo codice degli appalti, approvato la scorsa settimana dal consiglio dei ministri, dovrebbe servire a semplificare le procedure e velocizzare gli iter di realizzazione: il Pnrr, infatti, impone una corsa contro il tempo. Il tentativo è quello di ridurre le procedure per l’affidamento degli appalti, così da farli correre più spediti, rendendo strutturali alcune previsioni che erano state pensate come emergenziali durante il periodo del Covid.
Con qualche rischio, però: secondo il presidente dell’Anac, l’autorità anticorruzione, Giuseppe Busia, alzare le soglie per l’assegnazione diretta degli appalti a 150 mila euro potrebbe di far sì che «i contratti vengano stipulati in virtù di relazioni personali se non di parentela, anzichè sulla bontà delle offerte o della qualità delle ditte». Le sue parole hanno innescato però uno scontro con la Lega, che è stato il partito che più ha promosso il nuovo codice su spinta del vicepremier, Matteo Salvini. Secondo il responsabile Enti Locali del partito, Stefano Locatelli, quelle di Busia sono parole «inqualificabili» che certificano quanto sia «prevenuto», perchè portano a far pensare che «migliaia di sindaci siano tutti corrotti».
Decantata la polemica tra Anac e la Lega, però, rimangono i dati. Senza voler mettere in discussione la buona fede degli amministratori locali che amministrano il denaro pubblico, la questione è legata al fatto che il nuovo codice di fatto esclude gare per il 98,3 per cento dei lavori pubblici e limitando la possibilità di verificarne la trasparenza.
Secondo le previsioni normative, infatti, tutti gli affidamenti fino a 150 mila euro devono avvenire in via diretta e quindi con l’assegnazione a ditte di fiducia, senza bisogno di comparare preventivi, mentre prima la soglia era di 40 mila euro. Tutti gli affidamenti fino a 5,3 milioni di euro devono svolgersi con procedura negoziata ma senza bando pubblico, quindi con l’invito a partecipare rivolto a 5 o 10 ditte a seconda del valore, nel vecchio codice la soglia era invece posta a un milione di euro. I piccoli comuni, poi, potranno agire da stazione appaltante con affidamenti diretti fino a 500 mila euro.
Secondo i dati del giungo 2022 contenuti nell’ultima relazione Anac, il valore delle procedure per l’assegnazione di lavori pubblici è stata di 43,4 miliardi di euro, per un totale di 62.812 procedure. Di queste, 61.731 (pari al 98,3 per cento) sono riferite ad appalti di importo inferiore ai 5,3 milioni e corrispondono a un valore di 18,9 miliardi di euro: quasi la metà del denaro speso complessivamente per lavori pubblici.
Il caso di Salerno
Per spiegare quali sono i possibili rischi di limitare in modo significativo la concorrenza negli appalti pubblici con l’affidamento diretto ad una ditta oppure con l’invito a un numero ristretto di ditte, un caso da analizzare è quello di una istruttoria condotta dall’anticorruzione e conclusa a fine 2022, che ha avuto come oggetto una procedura negoziata svolta dal comune di Salerno.
Il comune aveva approvato una spesa di 950 mila euro più iva per l’evento “Luci d’Artista”, presentando un progetto molto dettagliato con indicati in modo specifico i tipi di luminarie richieste: le specifiche dei fari, delle strutture di appoggio e la lunghezza delle catene luminose, senza allegare però le elaborazioni tecniche e i dettagli per costruire le installazioni oggetto del bando. Secondo la procedura negoziata senza bando pubblico, il comune aveva invitato 13 ditte e aveva fissato un termine di appena dieci giorni per rispondere, fissando come criterio di scelta quello del minor prezzo offerto dalle ditte.
Risultato, una sola azienda si era presentata e aveva ovviamente vinto il bando. Andando ad esaminare l’offerta, Anac ha accertato che si trattava dell’unica tra quelle a cui era stato inviato l’invito «ad avere gia nella propria disponibilità le decorazioni luminose con caratteristiche identiche, in ogni dettaglio, a quelle poste a base di gara».
Le altre, non avendo già a disposizione quel tipo di strutture e istallazioni luminose, avrebbero dovuto crearle per l’occasione, ma il bando non forniva nè sufficienti informazioni nè un tempo sufficiente, vista la scadenza di dieci giorni. Inoltre, il criterio del minor prezzo avrebbe comunque impedito a chi avrebbe dovuto realizzare ex novo le installazioni di poter competere, nonostante si trattasse di un bando artistico e dunque il criterio di affidamento avrebbe ben potuto essere quello della qualità dell’offerta. «Non è possibile escludere che tale impostazione possa aver determinato un notevole vantaggio competitivo per l’operatore economico risultante eventualmente già in possesso di decorazioni identiche a quelle previste», ha scritto Anac nella sua delibera.
In altre parole: le procedure di gara senza bando pubblico rischiano di prestarsi sempre a effetti distorsivi e condizionamenti che limitano la concorrenza e quindi la possibilità per le pubbliche amministrazioni di ottenere prezzi più bassi o una qualità maggiore nella realizzazione dei progetti. Questo succedeva con una soglia fissata a un milione di euro, ora il rischio è che accada con una soglia di valore cinque volte più alta.
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