La riforma costituzionale della giustizia, che prevede in particolare la separazione delle carriere, è un tema estremamente polarizzante: da un lato c’è il governo di Giorgia Meloni, che sostiene la necessità di dividere i giudici dai pm, dall’altra l’Associazione nazionale magistrati che il 27 febbraio ha organizzato uno sciopero contro una riforma considerata pericolosa e punitiva.

Il 7 febbraio, con la newsletter giuridica In contraddittorio, abbiamo lanciato un sondaggio per capire come la pensassero i nostri lettori sul tema, soprattutto quelli particolarmente interessati alla giustizia per ragioni professionali. Il sondaggio prevedeva due domande a risposta obbligatoria e una facoltativa e aperta, per argomentare le proprie ragioni.

Favorevoli o contrari?

Alla domanda "Sei favorevole o contraria/o alla separazione delle carriere e alla riforma del Csm?” il 75,9 per cento dei partecipanti ha risposto di essere completamente contrario. Quasi equivalenti invece i completamente favorevoli (13 per cento) e i favorevoli alla separazione delle carriere ma contrari al sorteggio per i membri del Csm (11.1 per cento).

Al quesito invece sulle ragioni della riforma ("Ritieni che il governo abbia un intento punitivo nei confronti delle toghe, come sostiene l’Anm?"), c’è stata una risposta meno netta. La maggioranza, conseguentemente alla risposta precedente, ha risposto che “il governo ha individuato nella magistratura un nemico da combattere”, ma la percentuale è calata di quasi dieci punti con il 66,7 per cento.

Il 22,2 per cento, invece, ha risposto che la riforma non è punitiva, ma “la conseguenza naturale della riforma Vassalli” che prevede il rito accusatorio. A questi si aggiunge un 11,1 per cento che invece è a metà del guado (come con la terza risposta alla domanda precedente) e ritiene che “il governo ha puntato contro la magistratura, ma anche le toghe sono intervenute più volte impropriamente nel dibattito politico, provocando questa reazione”.

Il risultato dunque è di netta contrarietà alla riforma da parte da parte dei nostri lettori. Una parte di loro, però, che però sono meno convinti – pur facendolo a maggioranza – del fatto che tutte le responsabilità dello scontro in corso siano del governo e che la riforma non abbia una base giuridica sostenibile.

Le motivazioni

Circa la metà di chi ha partecipato al sondaggio ha anche risposto alla domanda aperta in cui si chiedeva di spiegare in modo più preciso la propria opinione, indicando anche se si era addetti ai lavori oppure privati cittadini. Le risposte emerse sono molto interessanti.

Tra chi non si qualifica (ma comunque si interessa di giustizia perché è iscritto alla newsletter tematica), prevalgono nettamente i contrari e la principale motivazione è di riconoscere un elemento politico dietro la scelta del governo: «Questo governo produce tanto rumore di fondo, tanto fumo sugli occhi e mi sembra di avere da anni una manciata di sabbia in bocca» scrive un utente, e ancora «Tutti gli organismi di tutela, che esistono in democrazia, per garantire il rispetto delle regole sono un ostacolo per chi intende comandare», cui si aggiungono «nessuna fiducia negli esponenti del governo e negli esponenti della maggioranza ora in parlamento» e «non sono competente sul tema della giustizia, ma assolutamente, non ammetto che in qualche misura, il governo possa, in qualche modo, avere un contro sulla magistratura».

Altri aggiungono che «ormai non ha capito solo chi non vuole capire e cioè chi ha interesse e convenienza ad attuare questa rovinosa riforma»; «il governo sta intraprendendo una deriva autoritaria che tende a sottomettere la magistratura all'esecutivo» e ancora definiscono la riforma «un tentativo da parte del governo per aumentare il controllo sulla magistratura e depotenziare il rischio che si possa facilmente individuare e perseguire quegli illeciti a cui questa parte politica è facilmente incline dimostrando inoltre di non tollerare critiche o giudizi».

Infine, «ovunque all'estero dove le carriere sono separate il pm dipende dall'esecutivo con buona pace dell'indipendenza. I giudici, come i giornalisti ai quali è stato imposto il bavaglio, sono un contropotere da subornare. Dopo le modifiche legislative, potendo contare su una solida maggioranza, all'abuso d'ufficio, le limitazioni alle indagini (intercettazioni, interrogatorio preventivo, ecc.), il bavaglio alla stampa direi che il regime è a buon punto. Nell'indifferenza dei più e col plauso degli sciocchi (per non dire altro)».

In seconda battuta, viene ritenuto che la riforma non risolva nessuno dei problemi concreti della giustizia. «La separazione delle carriere, esclusa dalla Costituzione, non risolverebbe alcuno dei problemi attuali della giurisdizione, ma avrebbe l'unico scopo di porre i pm sotto l'influenza dell'esecutivo. Risultato nefasto». E ancora: «la macchina della giustizia ha bisogno di risorse che vengono negate per impedirne il corretto e veloce funzionamento. Condivido il pensiero del giudice Gratteri». Di più: «È una posizione assolutamente ideologica e mira a complicare le procedure invece di semplificare».

C’è chi, invece, sottolinea come «le carriere sono di fatto già separate. Inoltre per esperienza so che un buon sistema socio-amministrativo si regge e, soprattutto, si autocorregge se tutti i suoi operatori professionali hanno svolto tutti i ruoli senza preclusioni e, quindi tutti sono in grado di comprendere le motivazioni ed i comportamenti altrui». Tra le considerazioni tecniche, anche il fatto che «poiché il passaggio dall'una all'altra posizione di fatto non raggiunge il 2 per cento dei magistrati a me sembra che sia una scusa per modificare nel tempo, radicalmente, l'attuale situazione portandola ad essere simile a quella di altre nazioni come l’Ungheria».

Un altro commento sottolinea il risvolto sociale: «La riforma proposta non dà alcuna garanzia di assicurare processi più veloci e di avere magistrati più competenti, nessun giovamento per il cittadino, né contrasta comportamenti da “casta” tenuti dai magistrati che per tali atteggiamenti risultano sempre più estranei al tessuto sociale».

Infine, c’è chi fa un ragionamento più di sistema: «Alla radice del problema c'è un codice penale del 1930: solo con un reset ed un diritto penale rifondato potremo poi riformare il diritto procedurale, quello penitenziario e capire bene come riformare le carriere dei giudici».

Gli avvocati

La newsletter giuridica viene letta anche da molti avvocati e in particolare i penalisti sostengono da anni la necessità di separare le carriere. Tuttavia non tutti i legali si sono detti favorevoli, con motivazioni su cui vale la pena di riflettere.

Tra i favorevoli, un penalista siciliano ha risposto di essere «favorevole alla separazione delle carriere. Il tema non appartiene ai magistrati, così come non appartiene agli avvocati. Esso ha a che vedere con il diritto del cittadino ad essere giudicato da un giudice terzo e imparziale. La terzietà e l’imparzialità previste dall’art. 111 della Costituzione non sono sinonimi. Imparziale deve essere qualsiasi funzionario pubblico. “Terzo” vuol dire esserlo rispetto alle due parti che dialetticamente si confrontano perché egli decida imparzialmente». Secondo un altro, «la separazione delle carriere rappresenta la piena attuazione dell'art 111 della Costituzione che attendiamo da 30 anni». Ancora, un docente e avvocato in pensione ha scritto che «la separazione delle carriere costituisce il naturale complemento della riforma Vassalli che ha introdotto il processo accusatorio e dell'esigenza di porre su di un piano di assoluta parità accusa e difesa. Nella maggior parte dei paesi democratici del mondo occidentale le due funzioni sono nettamente separate e nel linguaggio è in uso parlare di avvocati dell'accusa e avvocati della difesa».

Altri avvocati, invece, hanno invece un parere diverso. «Attualmente, in base alla normativa vigente, la separazione delle carriere è inutile. Ciò può far legittimamente dubitare che gli scopi siano altri, come un maggior controllo dell’esecutivo che potrebbe esserne conseguenza non formalmente normativa, ma pratica», ha scritto un difensore con 44 anni di esperienza alle spalle. 

E ancora, «sono avvocato, ma non condivido l’impostazione dell’ennesima riforma governativa in materia di giustizia, puramente politica. Anche separando le carriere (il passaggio di funzioni, peraltro, è da tempo molto raro) l’approccio rimarrà verosimilmente comune, perlopiù formalista e causidico a fronte di una normativa penale abnorme e, francamente, reazionaria, appena mitigata dalle recenti, timide riforme sulle pene alternative».

I magistrati

Sul fronte delle toghe, infine, spiccano due commenti particolari di due magistrate, che si sono firmate.

La prima, oggi in pensione, scrive che «la riforma non è in grado di risolvere alcun problema reale della giustizia (carenze di organico; dimensione territoriale degli uffici giudiziari in molti casi superata; procedure con punti incongrui soprattutto nel settore penale; sistemi informatici inadeguati); è del tutto inutile quanto alla separazione delle funzioni tra PM e giudici, separazione già prevista dalla disciplina attuale che consente un solo passaggio da una funzione all'altra, passaggio che avviene molto raramente come indicato nel video; priva i magistrati e i PM della capacità di eleggere i propri rappresentanti presso il CSM con una disciplina che non ha precedenti per gli organi di autogoverno (il sorteggio non è previsto per alcun organo di autogoverno professionale) e che di fatto svilisce la posizione dello stesso CSM. Infine – e soprattutto - preannuncia la sottoposizione dei PM "separati" a una qualche forma di controllo da parte dell'esecutivo, sottoposizione già indicata come esito necessario da vari esponenti della maggioranza attuale (vedi recente articolo dell'ex senatore pera) e del resto ricavabile dalla legislazione degli altri paesi, in nessuno dei quali i sostenitori dell'accusa sono del tutto indipendenti se separati dall'ordine dei giudici. In definitiva questa riforma non porta alcun beneficio alla tutela dei diritti dei cittadini ma è volta a comprimere l'indipendenza del PM -che potrà essere chiamato a rispondere del suo operato alla maggioranza politica di turno- e, quindi, anche l'indipendenza dei giudici che, nel settore penale, conosceranno solo di quei reati "consentiti" dal potere di turno».

La seconda, invece, sottolinea come la legge di revisione costituzionale «smantella l’assetto costituzionale della magistratura, lo scopo è condizionare la magistratura giudicante e sottoporre all’esecutivo la magistratura requirente. In danno al principio che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, come ormai apertamente dicono i riformisti, l’esecutivo deciderà chi andrà perseguito e chi no. Il prossimo passo, come già viene anticipato, sarà l’abolizione del principio della obbligatorietà dell’azione penale. Il Csm, organo posto a presidio dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, sarà condizionato dal potere politico. Il tutto in danno del principio della tripartizione dei poteri. È la prima proposta di revisione che che contrasta con il nucleo fondamentale della costituzione, anche questo dovrebbe far riflettere. Insomma l’unico scopo della riforma “finale” , secondo l’aggettivo di Nordio, è impedire, alla radice, decisioni dei magistrati sgradite alla politica.

Conclusioni

La riforma costituzionale della giustizia ha polarizzato i nostri lettori nel senso di una netta contrarietà alla separazione delle carriere. Circa la metà dei contrari alla separazione non ha però usato motivazioni politiche per giustificare il suo no, ma ha argomentato con un ragionamento più tecnico e di sistema.

La minoranza che invece si è detta favorevole non ha invece utilizzato come argomento un attacco alla magistratura, ma ha sottolineato le ragioni giuridiche su cui si fonda il principio di giusto processo. Segno, questo, che la giustizia è un campo che permette riflessioni equilibrate sia dal fronte del sì che da quello del no, senza cadere solamente nelle motivazioni politiche.

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