- Armi e aborto saranno le due bandiere del partito repubblicano. Se vinceranno, armi e aborto saranno i due temi della campagna presidenziale, in cui i repubblicani potrebbero addirittura ripresentare Trump. Ma anche se non sarà lui, sarà un suo epigono; non hanno altra scelta.
- I politologi pensano però anche ad un’altra possibilità: la galvanizzazione dell’elettorato democratico, in nome del ricordo delle libertà perdute, la mobilitazione massiccia dell’elettorato femminile. Certo, aggiungono, Joe Biden è un po’ vecchio per guidare questo movimento.
- La verità è che nessuno sa che cosa succederà, ma tutti intuiscono che niente sarà più come prima.
Il mondo ricorderà il 23 giugno del 2022 come la data più infausta, finora, di questo XXI secolo: per la democrazia americana (la più vecchia del mondo moderno), per la pugnalata alla schiena ai “valori dell’occidente”: nel mezzo di paurosi cambiamenti climatici, in presenza di un’atroce guerra in Europa, sei persone (cinque uomini e una donna) hanno cancellato il diritto delle donne americane di disporre del proprio corpo e, volendo, di poter interrompere una gravidanza non desiderata, in condizioni di privacy e con qualche forma di assistenza finanziaria e sociale del governo.
Il modello per il mondo
La Corte suprema degli Stati Uniti ha cancellato la sentenza Roe v Wade, del 1973, la pietra miliare del Ventesimo secolo, che vinse contro le superstizioni, la potenza delle chiese, il patriarcato in tutte le sue declinazioni.
A quella sentenza si sono ispirate faticosamente, le democrazie del mondo. L’Italia ne adottò i principi nel 1978, l’Irlanda e il Messico cattolici solo alcuni anni fa. Ora la Corte Suprema americana ha detto: “donne, non avete più questo diritto”.
Il risultato immediato della sentenza, incredibile eppure attesa e prevista da almeno un mese, come un terremoto, è detto brutalmente: 56 milioni di donne americane non avranno più assistenza perché i 15 stati in cui abitano hanno vietato l’aborto; possono essere incarcerate e così chi le aiuta.
Le proiezioni statistiche dicono che le persone più colpite saranno le donne giovani, povere, afroamericane o latine. Le morti per emorragia e sepsi aumenteranno del 20 per cento. I figli che nasceranno dalle gravidanze indesiderate avranno madri povere e affronteranno un’infanzia infelice.
Tutti i sondaggi dicono che la maggioranza della popolazione americana è contraria all’abolizione di “Roe”. E allora: perché la Corte Suprema ha preso questa “devastante” (parole di Barack e Michelle Obama), decisione?
La spiegazione sta nella storia di questo paese, nella decisione dei padri fondatori, di avere una Corte suprema nominata a vita, nel caso beffardo che ha voluto che nel 2016 il presidente eletto, Donald Trump, abbia avuto la possibilità di nominare ben tre giudici che avevano solo due compiti da svolgere: difendere il secondo emendamento (il libero possesso di armi) e restituire agli stati, il potere di decidere sull’aborto. Trump era stato votato per questo, non per altro. Questi sono i frutti tardivi di quell’infausto 2016.
Perdere un diritto
Che strano, perdere la libertà. Mi aveva colpito che agli esami di maturità in Italia fosse stata proposta una “traccia”, un testo scritto da Gherardo Colombo e Liliana Segre, sulla repentina esclusione degli studenti ebrei dalle scuole statali, come effetto immediato delle leggi razziali del 1938. La colpa di essere nati ebrei, che la bambina Liliana francamente non capiva. E non poteva immaginare quello che sarebbe avvenuto poco dopo.
Mi ha colpito la dichiarazione di minoranza dei tre giudici che si sono opposti. Il loro sconcerto per essere stati privati di un diritto che credevi fosse acquisito – “dai tempi di tua nonna”; una cosa che faceva parte della tua vita quotidiana e che adesso non c’è più. E la perdita di legittimità che la Corte suprema ha guadagnato, votando quella decisione, contro il parere della maggioranza di un popolo.
Gira un mormorio: che la Corte Suprema non si fermerà lì. Se l’aborto è un omicidio – i diritti del feto, essere umano fin dal concepimento, hanno preso peso giuridico e filosofico da almeno vent’anni – occorre vietare i contraccettivi; e se la famiglia tradizionale è la culla della civiltà, occorre vietare quell’obbrobrio morale che si chiama matrimonio gay. Fratello, occhio, Stanno venendo per te.
Qui occorre ricordare che, appena sette anni fa, nel giugno 2015, la Casa Bianca venne illuminata con i colori dell’arcobaleno per la decisione della Corte (5 contro 4) di approvare il matrimonio tra due persone dello stesso sesso, in nome della “supremazia dell’amore tra gli esseri umani”.
Questa decisione segnò i “valori dell’occidente” in maniera più profonda di quanto ci immaginavamo. Putin, per esempio non la digerì mai; il patriarca Kirill men che meno; epigoni spuntarono ovunque, dal Brasile alle Filippine; ma anche in Europa fece proseliti l’idea di vendicarsi di quell’affronto.
Società e sentenze
La Corte suprema americana (Scotus) è un animale stranissimo. Nasce nel 1789, insieme alla Costituzione. E’ composta da nove membri, nominati a vita dal potere politico. Esamina ricorsi dagli stati e da singoli e decide in merito alla loro aderenza ai principi dei “padri fondatori”.
Nel tempo si è sempre adeguata ai cambiamenti della società, più o meno prontamente. Vidimò l’abolizione della schiavitù, ma, ancora nel 1896, nella famosa sentenza Plessy vs. Ferguson (il signor Plessy, meticcio di New Orleans, aveva protestato per essere stato estromesso da una carrozza ferroviaria per soli bianchi), gli diede torto in quanto aveva “un ottavo di sangue nero” e sancì la legittimità della segregazione razziale.
Negli anni Venti e Trenta, la Corte si pronunciò diverse volte vietando i rapporti sessuali e naturalmente il matrimonio, tra bianchi e neri. Vietò anche i rapporti omosessuali consenzienti.
Nel 1954, però, la Corte si pronunciò contro la segregazione razziale nelle scuole (Brown vs Board of Education), una decisione che diede origine alla stagione dei diritti civili, che dura da allora, con un meccanismo sociale che era diventato oliato: la società produce movimenti che affermano diritti – alla vita, alla libertà, all’amore, alla giustizia sociale, al rispetto della natura; queste istanze vengono portate avanti camminando per le strade e in genere prendendo botte da uomini in divisa. Ma alla fine si affermano, diventano leggi e persino la Corte Suprema le certifica come tali.
Questa, in breve è la democrazia americana, ed in fondo era ben scritto nella dichiarazione di indipendenza del 1776, dove si parlava del «diritto alla ricerca della felicità». Oggi la Corte Suprema ha dato un colpo micidiale a questa storia.
Niente più come prima
La città in cui vivo, San Francisco, si vanta – a ragione – di essere stata la culla di questa idea del mondo; tutto è nato qui, in particolare nel secolo ventesimo. Domenica prossima qui sfilerà il “gay pride” , nato qui 27 anni fa; il famoso corteo aperto dalle lesbiche in motocicletta, seguite dalle Sorelle della Perpetua Indulgenza, dal consiglio comunale, dai vigili del fuoco gay, dai poliziotti gay, persino da un piccolo gruppo di agenti del FBI gay. Ma c’è apprensione.
Per la prima volta da anni ci sono state minacce a personaggi in vista della comunità LGBTQ, tre giorni fa, sulla metropolitana, un uomo è stato ucciso e il killer è fuggito alla stazione di Castro, il quartiere famoso nel mondo.
La polizia non lo trova, non dà particolari, se non che afferma che le ragioni dell’omicidio non sono legate all’odio. Ma la gente non ci crede troppo.
Subito dopo la decisione della Corte, è comparso in televisione il governatore della California Gavin Newson; ha fatto un discorso durissimo, ha assicurato che fin da subito lo stato diventerà “un santuario” per le donne di tutti gli stati dove l’aborto è stato immediatamente vietato.
Fornirà assistenza medica, legale, finanziaria; era evidente che pensava in primo luogo al Texas, dove la settimana scorsa, la convention repubblicana aveva anticipato la Corte impegnandosi a vietare l’aborto e a punire le coppie gay, oltreché ad assicurare a tutti a libertà di portare armi in pubblico, i bambini di Uvalde erano morti invano.
Newson pensava al Texas, lo stato dove si sta spostando l’industria di alta tecnologia, perché i salari sono più bassi e faceva balenare uno degli spettri più agitati di oggi: la guerra tra gli stati, la guerra civile; se un tempo era avvenuta sul tema dello schiavismo, oggi sarà alimentata da due parole, “armi” e “aborto”.
Sarà stata la Corte Suprema a gettare benzina sul fuoco, con due decisioni inconcepibili in una settimana; la libertà di portare armi, contro le limitazioni introdotte dallo stato di New York, in quanto il secondo emendamento ha validità federale; la seconda, la cancellazione di “Roe”, in quanto la libertà della donna, non è un diritto federale, ma varia da stato a stato.
Gli effetti sul voto
Armi e aborto, a novembre si voterà su questo (rinnovo della Camera e del Senato). Non sull’inflazione, sull’Ucraina, sul cambiamento climatico o sull’espansione dell’assistenza medica.
Armi e aborto saranno le due bandiere del partito repubblicano. Se vinceranno, armi e aborto saranno i due temi della campagna presidenziale, in cui i repubblicani potrebbero addirittura ripresentare Trump. Ma anche se non sarà lui, sarà un suo epigono; non hanno altra scelta.
I politologi pensano però anche ad un’altra possibilità: la galvanizzazione dell’elettorato democratico, in nome del ricordo delle libertà perdute, la mobilitazione massiccia dell’elettorato femminile. Certo, aggiungono, Joe Biden è un po’ vecchio per guidare questo movimento.
La verità è che nessuno sa che cosa succederà, ma tutti intuiscono che niente sarà più come prima.
E’ come se tutti avessero ricevuto una traccia per l’esame di maturità. “Da oggi non c’è più la libertà. Spieghi il candidato se ha provato sollievo o paura”.
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