All’indomani del discorso di J.D. Vance a Monaco, i commentatori di casa nostra sono apparsi disorientati. Del resto, chi dopo l’invasione russa in Ucraina ha trattato i pacifisti come «putiniani» come può nascondersi che è proprio l’America a legittimare oggi i «nemici dell’Occidente»?
«Cosa stiamo difendendo?». La domanda che J.D. Vance ha rivolto all’Europa nel suo discorso alla Conferenza per la sicurezza di Monaco non riguarda il ruolo che il vecchio Continente intende assumere nello scacchiere globale, né – direttamente – l’impegno militare che è disposto a dispiegare. Riguarda invece i «valori» capaci di unire le due sponde dell’Atlantico, quelli che fino a poche settimane si sarebbero chiamati «occidentali», ma che il vicepresidente scelto da Donald Trump si premura di definire «condivisi con gli Stati Uniti». Perché il vero messaggio di Monaco è questo: l’Occidente – qualunque cosa significhi questo oggetto sfuggente – non esiste più. La parola non ricorre mai nel discorso di Vance e suona, oggi più che mai, come un significante vuoto.
L’Occidente che ha avuto il suo mito fondativo nello sbarco in Normandia e la sua bandiera nella liberaldemocrazia – il «secondo Occidente» di cui parla Carlo Galli nel suo libro Democrazia, ultimo atto? (Einaudi, 2024) – finisce per mano del suo stesso inventore, la potenza americana che oggi rimprovera all’Europa i suoi «cordoni sanitari» contro le forze nostalgiche del fascismo e del nazismo, la sua «censura» verso gli intolleranti e i falsificatori, l’eccesso di zelo delle sue Corti a difesa dei diritti delle donne e delle minoranze.
La stessa idea di «libertà», il presunto valore capace di opporre la civiltà occidentale al resto del mondo, si rivela un’istanza bellicosa che rifiuta ogni limite. Indistinguibile, in realtà, dalle ragioni della forza, che Trump esibisce apertamente mentre legittima, di riflesso, la politica di potenza delle autocrazie.
Si potrebbe semplicemente concluderne che gli Stati Uniti hanno gettato la maschera, rivelando come l’Occidente atlantico fosse una creatura politica in mano al suo creatore, da abbandonare al suo destino nel momento in cui gli interessi geopolitici si spostano altrove. Ma rinunceremmo così a vedere il progetto sotteso alle mosse di Vance, dello stesso Trump o di Elon Musk. In gioco c’è la sostituzione della vecchia idea della democrazia liberale postbellica – già ampiamente logorata dall’aggressione neoliberale alla sua componente sociale – con un’idea di democrazia maggioritarista, insofferente ai vincoli costituzionali e alla divisione dei poteri, indifferente ai dettami del diritto internazionale.
È difficile, anche per gli atlantisti più irriducibili, non vedere questa torsione in atto. All’indomani del discorso di Monaco, infatti, i commentatori di casa nostra sono apparsi disorientati. Del resto, chi dopo l’invasione russa in Ucraina ha trattato i pacifisti come «putiniani» come può nascondersi che è proprio l’America a legittimare oggi i «nemici dell’Occidente»? E chi ha additato la «cultura woke» come causa del declino occidentale come può non vedere che i veri «odiatori» di questa presunta civiltà sono altrove?
Il tentativo di Vance di spostare la linea del conflitto dall’esterno all’interno, dalla difesa dei valori «occidentali» contro le autocrazie alla difesa di una democrazia puramente elettorale (quando il risultato è favorevole, s’intende) contro il costituzionalismo liberale, appare del tutto in linea con l’ideale di «democrazia illiberale» teorizzato da Viktor Orbán. Un ideale che avversa il liberalismo in quanto sinonimo di relativismo dei valori, multiculturalismo, pluralismo dei modelli familiari, dunque nemico della religione cristiana, della famiglia tradizionale, della «nazione». Come nella visione di Orbán, così in quella della nuova leadership degli Stati Uniti, la «civiltà» da difendere non è quella che ha al cuore i valori della Rivoluzione francese ma piuttosto quella che affonda le radici nella religione giudaico-cristiana, in un’idea omogenea di identità, nella gerarchia e nel rispetto dell’autorità.
Si comprende come ad essere additati come nemici di questa civiltà siano allora non i regimi autocratici, ma piuttosto i migranti, i rifugiati, le voci del pensiero progressista che denunciano le ingiustizie legate alla “razza”, al genere, all’orientamento sessuale (ciò che va sotto il nome di «woke»), nonché i governi e le istituzioni che sanzionano i messaggi razzisti, sessisti, omotransfobici, mettono in atto misure anti-discriminatorie o difendono il controllo reciproco dei poteri.
Il discorso di Vance ha insomma reso chiaro che il mito dell’Occidente come patria della democrazia liberale sta collassando. Non per colpa del «woke», ma di coloro che hanno alzato da sempre la sua bandiera di «libertà».
© Riproduzione riservata