- Dal Vajont alla Marmolada eventi tutt’altro che improbabili ma che non si credeva potessero accadere solo per il fatto che non erano mai accaduti.
- In realtà, la probabilità che accada un evento non è immutabile nel tempo e dipende dalle condizioni e dalle serie storica su cui si basano i calcoli, e non c’è dubbio che la situazione sia mutata.
- A fronte degli innumerevoli studi sull’impatto del clima sulla salute delle popolazioni attuali poca attenzione è stata riservata agli impatti sulle future generazioni.
Quante volte abbiamo sentito e letto la frase di José Saramago «noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere» usata spesso dopo incidenti e avvenimenti attesi ma rimossi, non curanti della probabilità di accadimento?
Il tragico evento del ghiacciaio della Marmolada è l’ultimo di una lunga serie di accadimenti, torna subito a mente il Vajont, probabili ma che non si credeva potessero accadere solo per il fatto che non erano mai accaduti. In altre parole, alla scienza si chiede di calcolare il rischio, cioè la probabilità di accadimento, però poi non ci si crede e non si adottano le azioni conseguenti.
Non sono mancate dichiarazioni sbigottite sui media in etere e carta di amministratori e anche cosiddetti esperti, del tipo «un evento del genere non era mai accaduto e quindi era improbabile». Niente di più sfasato, perché la probabilità che accada un evento non è immutabile nel tempo e dipende dalle condizioni e dalle serie storica su cui si basano i calcoli; ne discende che, alla luce dei mutamenti climatici degli ultimi decenni, la probabilità di distacco e crollo di saracchi di ghiaccio non può essere considerata improbabile.
La velocità di modificazione di fenomeni legati alla crisi climatica consiglia una accelerazione di alfabetizzazione della cultura scientifica pubblica, da attuarsi nel sistema formativo e nella società.
La stessa pandemia di Covid-19 ha fatto emergere la necessità di superare la separazione tra malattie infettive e malattie non trasmissibili, risultando evidente da tanti studi scientifici la maggiore suscettibilità di fronte al Covid di persone rese più fragili da lunghe esposizioni a inquinamento atmosferico e/o socio-economicamente più deprivate.
L’importanza della memoria
Ma torniamo alla memoria fallace sui risultati che da molto tempo avrebbero dovuto illuminare sulle possibili conseguenze del cambiamento climatico.
Si potrebbe ripartire da 50 anni addietro col primo rapporto Meadows per il Club di Roma, ma anche riferendosi ai lavori dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici), il primo rapporto è del 1990. Sono decenni che si è andato consolidando il consenso scientifico sul fatto che le emissioni di gas serra generate dall’attività umana modifichino il clima della Terra e il riscaldamento globale, e allora si parlava di 0,5 gradi e non di 1,5 di oggi o di scenari più infausti per il domani dietro l’angolo.
Già allora si sosteneva la capacità dei cambiamenti climatici di influenzare la salute umana in molti modi, successivamente osservati da tanti studi.
Gli effetti acuti del caldo estremo sulla salute sono stati documentati da tempo, già nel 2008 una rassegna aveva evidenziato eccessi di mortalità e malattie renali e respiratorie, e ancora prima diversi eventi climatici erano stati associati a vari esiti sulla salute, tra cui lesioni e malattie infettive associate a inondazioni, aumento del rischio di malattie trasmesse da vettori associati a variazioni delle precipitazioni.
Danni presenti e futuri
Oggi le stime sui danni da riscaldamento sono affinate e sono tutt’altro che tranquillizzanti: a livello globale, a ogni grado di aumento della temperatura ambientale corrisponde un incremento di oltre il 3 per cento della mortalità per cause cardiovascolari e respiratorie, un nuovo caso di diabete ogni 3.000 persone, per non parlare delle malattie infettive, dalla malaria alla Dengue.
Ma scandagliando la letteratura scientifica emerge che a fronte degli innumerevoli studi effettuati sulla salute delle popolazioni attuali poca attenzione è stata riservata agli impatti sulle future generazioni. E le avvisaglie sono inquietanti: a livello globale, le future generazioni sperimenteranno più frequentemente eventi climatici estremi (temperature, precipitazioni, eventi meteorologici inusuali), rispetto alle generazioni attuali e passate. Uno studio recente ha stimato che un bambino nato in qualsiasi parte del mondo nel 2020 nel corso della sua vita sperimenterà un numero di ondate di calore 4-7 volte superiore rispetto a un bambino nato nel 1960 (Thiery e collab. Science, 2021).
E va sottolineato che si parla di effetti avversi sulla salute umana e animale che si verificheranno nelle future generazioni non solo a causa di esposizioni dannose che avverranno domani ma anche di esposizioni precoci dell’oggi (in utero e nei primi anni di vita) e i cui effetti si vedranno più avanti, anche nelle generazioni successive (danno trans-generazionale).
Dunque l’insulto alle future generazioni è già operante e il dettato costituzionale dell’articolo 9, «tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni», andrebbe reso vivo.
Sarebbe magra consolazione una nemesi storica che vendicherà i torti e le ingiustizie subite dalle future generazioni per opera di quelle correnti, c’è bisogno invece di un sovrappiù di responsabilità per la presa in carico della sfida, oggi e subito.
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