Nel corso delle celebrazioni del 2 giugno si è assistito a un evento che vale come prova sperimentale dei rischi contenuti nella proposta di riforma costituzionale della destra: l’attrito di Giorgia Meloni e Matteo Salvini con il presidente della Repubblica.

Quel che ha urtato la destra è quel che giustifica la proposta di premierato: Mattarella ha parlato in un modo non allineato politicamente con le posizioni di chi governa. La destra è immoderata proprio perché non accetta ruoli puramente istituzionali. Meloni e Salvini hanno verso le istituzioni un’attitudine partimonialistica – come fossero “roba loro” o il riflesso condizionato delle idee di chi governa.

Il livello “terzo“ del potere

Sappiamo che la stabilità dei governi costituzionali è avvenuta quando i partiti hanno saputo moderare la loro hybris dominandi. Quando, per usare l’espediente ipotetico di John Rawls, nello scrivere la legge fondamentale si sono idealmente messi dietro il «velo di ignoranza».

I partiti che sedevano nell’Assemblea costituente cercarono di ragionare secondo i possibili scenari futuri senza conoscere in partenza il loro portafoglio di consenso – scrissero regole che garantissero a tutti le condizioni non solo fattuali, ma soprattutto normative e istituzionali, per concorrere alla lotta politica in condizioni di parità.

Per consentire questo gioco inclusivo di vincitori e vinti, le buone costituzioni hanno stabilito che i vincitori non occupino tutte le caselle del potere costituito. Gli organi di garanzia – la presidenza della Repubblica, la magistratura e la Corte costituzionale – devono restare fuori dalle mire faziose. Le elezioni da sole non valgono a fare una democrazia, come vediamo in Turchia o in Ungheria.

Quel che la destra non digerisce è proprio il livello “terzo” del potere. Per essa, la politica ha solo la dimensione dell’investitura diretta; la sua è una logica a somma zero: chi vince prende tutto e chi perde attende benché, a quel punto, in una condizione di evidente svantaggio poiché non esiste alcuna garanzia di un potere neutro o imparziale.

Tutti allineati

Così fu nel Ventennio. La tentazione è tutt’altro che svanita. Ed è pericolosa. Per questo la destra non solo è immoderata, ma anche destabilizzante perché falsamente costituzionale e liberale. Considera la Costituzione uno strumento per spianarle la strada e che non prevede inciampi. Ha una visione legalistica e formalistica in senso pieno – “lo dice la legge”.

Si tratta di capire chi fa la legge e secondo quali presupposti normativi. I regimi totalitari erano maestri di formalismo e di legalismo – dopo aver scritto, loro, le leggi. La tentazione ritorna. La destra vuole riscrivere la nostra Costituzione per poter operare nel suo pieno rispetto! Vuole costituzionalizzare se stessa. Un proposito che contraddice il costituzionalismo.

E torniamo al casus belli. Il presidente Mattarella ha parlato della Costituzione italiana come di un baluardo contro i rischi del nazionalismo, legandola direttamente al progetto di integrazione europea.

Ha ricordato che celebrare la Repubblica significa celebrarne la Costituzione, che è stata «lungimirante e saggia» perché ha consentito a tutti di sentirsi parte del gioco. Qui sta la vera stabilità, non in un governo che duri vent’anni. Questo non è piaciuto alla Lega (Claudio Borghi ha chiesto le dimissioni di Mattarella) e neppure a FdI, indispettiti per quel parlare non allineato del presidente.

Chi non è servo sciocco non si fa ingannare: il senso di tanto “dispitto” sta nel fatto che la Costituzione ideale della destra è quella nella quale tutti i poteri sono allineati e parlano con una voce sola. Addio al costituzionalismo.

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