Appena pronunciato il discorso di fine anno del presidente della Repubblica, Giorgia Meloni ha fatto sapere di aver chiamato il Colle per gli auguri, e di aver apprezzato il richiamo «al valore fondante del patriottismo». La premier si sforza di dimostrare che nel messaggio del presidente c’è una qualche convergenza con la sua propaganda nazionalista. Uno sforzo in cui, sarà un caso, ieri si è cimentata tutta Fratelli d’Italia. «Nelle sue parole tutti gli italiani possono riconoscersi», per i capigruppo delle camere Malan e Bignami. «Parole così trasversali da essere accolte senza divisioni e strumentalizzazioni», per Giovanni Donzelli, numero due del partito.

Vero è che quest’anno Mattarella ha usato un’attenzione speciale – non vogliamo dire uno sforzo – perché le sue parole non suonassero come un controcanto all’azione di governo. L’ipersensibilità della premier è nota.

Ma il tono mite del presidente non cancella il fatto che tutto il discorso, passaggio per passaggio, declina i problemi del paese in maniera diversa, a tratti opposta, a quella della destra. Se ne capisce il motivo: Mattarella resta ancorato ai principi della Carta. Da cui spesso l’azione del governo e della maggioranza si discosta. Quest’anno l’albero di Natale del Quirinale è decorato con palline su cui sono stampati gli articoli della Costituzione, dono di un’associazione di volontariato. Scelta simbolica: della speranza che la Carta non diventi decorativa.

Patriottismo/nazionalismo

«Patriota», parola cara alla premier, non significa nazionalista. Lo scorso fine d’anno Mattarella ha ricordato che «identità nazionale» è «orgoglio» per i valori costituzionali. Quest’anno fa esempi di patriottismo: i «medici dei pronto soccorso», gli «insegnanti che si dedicano con passione alla formazione dei giovani»; e chi «con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi» e «contribuisce ad arricchire la nostra comunità».

Dall’integrazione e dalla «reciproca comprensione» dipende «il futuro delle nostre società». Siamo agli antipodi della retorica della criminalizzazione dei migranti e della politica migratoria della destra.

La radicalizzazione

Severo il giudizio sulle forze che puntano a «radicalizzare le contrapposizioni», lacerare «le pubbliche opinioni», un atteggiamento che genera «smarrimento, sgomento, senso di impotenza».

Basta riascoltare qualche comizio della premier, da Atreju alle camere, contro le opposizioni, i giornalisti, l’informazione, per farsi un’idea di chi, dal governo, radicalizza il confronto.

Più armi che ambiente

Mattarella ha parlato ripetutamente di pace. Anche ieri ha risposto all’appello di papa Francesco a «credere nel dialogo» per favorire «una soluzione pacifica ai conflitti in atto». Il presidente mantiene solidamente il paese a fianco dell’aggredita Ucraina e ha chiarito che pace «non significa sottomettersi alla prepotenza di chi aggredisce gli altri Paesi».

Ma al tempo stesso ha sottolineato che «la crescita della spesa in armamenti, innescata nel mondo dall’aggressione della Russia all’Ucraina - che costringe anche noi a provvedere alla nostra difesa - ha toccato quest’anno la cifra record di 2.443 miliardi di dollari. Otto volte di più di quanto stanziato alla recente Cop 29, a Baku, per contrastare il cambiamento climatico, esigenza, questa, vitale per l’umanità. Una sconfortante sproporzione». Non è un messaggio diretto al governo italiano: ma non è una carezza per i negazionisti del climate change.

Le lunghe liste d’attesa

Le tecnologie consentono la cura di malattie un tempo inguaribili, ma restano «lunghe liste d’attesa per esami che, se tempestivi, possono salvare la vita. Numerose persone rinunciano alle cure e alle medicine perché prive dei mezzi necessari». Non è un fenomeno recente, ma il presidente non minimizza il collasso della sanità, a differenza delle voci di governo e della maggioranza, anche in quest’ultima manovra.

Così come Mattarella definisce «incoraggianti» i dati sull’occupazione ma sottolinea le resistenti «aree di precarietà, di salari bassi, di lavoratori in cassintegrazione»; come da anni, ripete il suo appello per la sicurezza sul lavoro: «Non possono più bastare parole di sdegno: occorre agire, con responsabilità e severità».

Respirare in carcere

La Costituzione detta «norme imprescindibili sulla detenzione in carcere». Il presidente denuncia il «sovraffollamento» e le «inaccettabili» condizioni di lavoro anche del personale penitenziario. Ma le riforme del ministro Nordio su questo girano a vuoto.

Qui il presidente sceglie bene i termini: «I detenuti devono potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine». Difficile non pensare alle (opposte) parole del sottosegretario alla giustizia Delmastro, «noi non lasciamo respirare» i detenuti.

Liberazione permanente

A conclusione arriva un capolavoro. Mattarella ricorda – viene da dire “avverte” – che il prossimo anno si celebrano gli ottant’anni dalla Liberazione, quel 25 aprile ogni volta contestato dalla destra, e occasione di strafalcioni dei suoi massimi rappresentanti.

Stavolta il capo dello stato non nomina la lotta antifascista – lo ha fatto decine di volte nell’anno appena concluso – ma è lo stesso implacabile con i revisionismi: la Liberazione, dice, (cioè la cacciata dei nazifascisti) «è fondamento della Repubblica e presupposto della Costituzione», l’ottantesimo sarà «una ricorrenza importante», e attuale perché richiama alla liberazione «da tutto ciò che ostacola libertà, democrazia» e «dignità di ciascuno». La Liberazione insomma è «un’impresa che si trasmette da una generazione all’altra»

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