- Il ruolo che il ministero della Giustizia durante il governo Draghi attribuiva a Cospito era quello più di un ideologo che di un capo che passava ordini specifici.
- Il regime del 41 bis gli ha certo tolto la voce – almeno fino a quando non è iniziata la processione di parlamentari che lo visitano e ne riportano le idee – ma ha senza dubbio rafforzato l’influenza di suoi scritti già in circolazione. Difficile che Cospito, da Sassari dove era rinchiuso o da Opera dove si trova ora, potesse fornire indicazioni precise per specifiche azioni.
- Invece è diventato un simbolo, usato anche dai boss della criminalità organizzata che da sempre contestano un regime carcerario che a loro si impedisce di comandare a distanza.
La scelta del governo Meloni di trasformare il caso Cospito in un’arma contro l’opposizione ha fatto perdere di vista in un paio di giorni il merito della questione della quale si stava dibattendo: cosa ha fatto l’anarchico Alfredo Cospito?
Si merita il regime del “carcere duro” del 41 bis, di solito riservato ai boss mafiosi? E’ il simbolo dell’oppressione dello stato che reprime in modo esemplare chi osa metterne in dubbio la legittimità, o è il testimonial perfetto della necessità di una norma il cui scopo è isolare completamente chi, anche dal carcere, può dare indicazioni, ordini, guidare organizzazioni e favorire attentati?
Anche i magistrati continuano a essere divisi sulla qualificazione giuridica dei comportamenti di Cospito, con la procura generale di Torino che sostiene la necessità di tenerlo al 41 bis anche ora che è in sciopero della fame da oltre cento giorni, e con la Direzione nazionale antimafia e anti terrorismo che non prende una posizione netta e lascia che sia il ministro della Giustizia Carlo Nordio a pronunciarsi.
Gran parte della discussione pubblica, però, affronta la questione in via di principio e non di merito.
Il decreto del ministero della Giustizia dell’aprile 2021 è un’utile traccia documentale per capire in base a quali motivazioni il ministero allora guidato da Marta Cartabia abbia richiesto il regime del 41 bis per Cospito.
Sulla razionalità del provvedimento e sulla sua attualità decideranno i giudici e il governo Meloni, ma gli elementi di fatto sono comunque interessanti per farsi un’idea di quale fosse la valutazione della pericolosità dell’anarchico quando è stato isolato da tutto e da tutti.
La struttura degli anarchici
La premessa è che il ministero della Giustizia considerava il movimento anarchico diverso da come lo raccontano i militanti, assai più organizzato, con una Federazione anarchica informale «avente struttura unitaria ma operante attraverso una pluralità di sigle»: dalla Brigata 20 luglio alle Sorelle in Armi al Nucleo Olga. Queste sigle, insieme alla costituzione del Fronte Rivoluzionario Internazionale fanno temere al ministero rischi di “azione violenta” e “commissione di attentati”.
Il decreto ripercorre poi una lunga quanto dimenticata evoluzione di idee, sigle e bombe dimostrative del movimento anarchico in Italia: esplosioni al municipio di Milano nel 1997, durante il G8 di Genova nel 2001 a una stazione dei carabinieri, alla redazione milanese del Tg4, a una fabbrica Benetton a Ponzano Veneto.
Le violenze della polizia a Genova diventano un catalizzatore della violenza anarchica.
Due ordigni esplodono vicino a casa dell’ex premier Romano Prodi, nel 2003, a Bologna. E così via, per anni, non soltanto in Italia, ma anche in Spagna, Grecia, Cile. Gli anarchici sono contro lo stato, ma non operano soltanto su base individuale.
La mattina del 7 maggio 2012 due uomini in modo gambizzano l’ingegner Roberto Adinolfi, amministratore delegato dell’Ansaldo Nucleare. Uno dei due è Alfredo Cospito, che poi per questo e altri reati verrà condannato.
Secondo il ministero della Giustizia, Cospito non è un solitario, ma la Corte di assiste di Torino con la sentenza del 2019 lo ha riconosciuto come “capo e organizzatore di una associazione con finalità di terrorismo”, cioè la Federazione Anarchica Informale Fronte Rivoluzionario Internazionale (Fai/Fri, le sigle anarchiche sono molto simili e indecifrabili).
Una qualifica, quella di capo, che certo Cospito contesta, ma che pezzi delle forze dell’ordine e della magistratura sostengono abbia continuato a mantenere anche in carcere.
Secondo una annotazione della Digos di Torino del 2 dicembre 2020, Cospito manda molti messaggi dal carcere, per esempio uno per una assemblea del 9 giugno 2019 a Boologna: Cospito analizza sentenze di condanna di altri anarchici e il processo in cui lui stesso è coinvolto, Scripta Manent, come un messaggio da parte dello Stato: «limitatevi a minacciare e vi faremo fare un po’ di galera preventiva, limitatevi a distruggere le cose e saremo comunque clementi ma se andate oltre vi seppelliremo vivi».
Cospito, insomma, sostiene che le istituzioni temano un ritorno degli anni di piombo del terrorismo, dai quali lui ha mutuato pratiche come la gambizzazione dei manager, «temono che gli anni bui (per loro) ritonino, che la paura e il terrore cambino di campo».
Cospito, scrive il ministero della Giustizia, invece è ben contento di essere un terrorista e sostiene che tale qualifica gli ha portato grande rispetto in carcere.
Il ritorno degli «anni bui»
In maniera un po’ incongrua con i contenuti dei suoi scritti, però, in quella fase Cospito non è sottoposto neppure al controllo preventivo della corrispondenza dal 2017. E quindi ne approfitta per mandare una lunga intervista scritta alla rivista libertaria Vetriolo, anche se poi il carcere di Ferrara si lamenta che non è mai stato autorizzato a rilasciare interviste.
In questo dialogo, passato sotto il naso della polizia penitenziaria, Cospito invoca uno scontro «armi in pugno con il sistema» e critica «il rifiuto di colpire le persone» da parte di alcuni anarchici troppo timidi che si limitano a danneggiare le cose. Secondo lui, infatti, servono «attentati dinamitardi, incendi, pacchi bomba, gambizzazioni, espropri». E anche «azioni che mettano in pericolo la vita degli uomini e delle donne del potere». Per questo lui ha colpito il manager dell’Ansaldo Nucleare.
Il ministero sostiene che questi proclami possano diventare indicazioni operative, che contribuiscono “a identificare obiettivi strategici e a stimolare azioni dirette” da parte di cellule di potenziali attentatori non ancora identificati e scoperti.
Lo schema che il ministero delinea, nella sua analisi, è il seguente: Cospito è l’esponente più visibile di un’ala violenza del movimento anarchico che ha capito che alcune azioni spettacolari, specie seguite da processi e condanne ad alta visibilità mediatica, possono servire a radicalizzare le varie sigle ferme ad azioni dimostrative e a generare una dinamica di solidarietà che rende più probabile che anche i timidi passino a pratiche di lotta più aggressive.
In questo senso, la carcerazione di Cospito e i messaggi dalla prigione sono essi stessi lo strumento della radicalizzazione. Il giorno dell’inizio dell’udienza preliminare del processo Scripta Manent, con Cospito imputato, il 5 giugno 2017, arrivano tre pacchi esplosivi, di cui uno al pm incaricato del processo.
Il ministero poi vede legami tra Cospito e altri anarchici coinvolti in varie indagini e in progetti di attentati, soprattutto a Roma, che vengono trovati in possesso di documenti e scritti dell’anarchico già in prigione.
Dunque, «la possibilità fino ad ora consentita a Cospito di diffondere le sue tesi per l’incitamento allo scontor diretto ed armato con le istituzioni e con il ‘potere’ deve essere considerata come particolarmente pericolosa, posta la sua capacità di porsi come una figura da emulare per la sua condizione di ‘perseguitato politico’».
La forza dell’ideologo
Come si vede, il ruolo che il ministero della Giustizia durante il governo Draghi attribuiva a Cospito era quello più di un ideologo che di un capo che passava ordini specifici.
Il regime del 41 bis gli ha certo tolto la voce – almeno fino a quando non è iniziata la processione di parlamentari che lo visitano e ne riportano le idee – ma ha senza dubbio rafforzato l’influenza di suoi scritti già in circolazione.
Difficile che Cospito, da Sassari dove era rinchiuso o da Opera dove si trova ora, potesse fornire indicazioni precise per specifiche azioni. Invece è diventato un simbolo, usato anche dai boss della criminalità organizzata che da sempre contestano un regime carcerario che a loro si impedisce di comandare a distanza.
Un po’ di ragione ce l’hanno i sostenitori di Cospito che sulla rivista anarchica Il Rovescio hanno scritto un paio di giorni fa: «In base alle affermazioni espresse dalle varie cariche istituzionali, sarà il caso che si chiedano se Cartabia ci aveva visto proprio lungo riguardo il 41 bis ad Alfredo: come dimostrano le azioni che si stanno susseguendo a livello internazionale, bisogna palesemente ammettere che il 41 bis è vano».
Certo, è un po’ paradossale che questo movimento che contesta la natura stessa dello Stato finisca poi per chiedergli conto del mancato rispetto di leggi e valori che gli anarchici non condividono: «lo Stato (…) dovrebbe invece garantire, in teoria, lo stato di diritto su cui si fondano le sue leggi».
Per colpa di Cospito funzionari della Digos e magistrati hanno dovuto leggersi tonnellate di documenti e autori anarchici, ma anche gli anarchici hanno dovuto riscoprire la Costituzione. Forse questa è l’unica buona notizia in questa storia.
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