- Alfredo Cospito non è un criminale qualsiasi: 6 diversi giudici, fino alla Corte di Cassazione, hanno riconosciuto la sua colpevolezza, condannandolo, al termine del terzo grado di giudizio, a 20 anni di reclusione per tentata strage contro la sicurezza dello stato.
- La misura del “carcere duro” risponde a precise esigenze di garanzia della democrazia, delle sue istituzioni come dei suoi cittadini.
- La situazione è paradossale: quando Cospito teorizzava una nuova strategia della tensione, in pochi lo ascoltavano; ora che la sua è una battaglia legale è ascoltato.
Il caso Cospito continua ad alimentare il dibattito pubblico ed anche su queste pagine vi sono state prese di posizioni volte a far revocare lo stato di regime carcerario “duro” imposto all’anarchico. Alfredo Cospito, tuttavia, non è un criminale qualsiasi: sei diversi giudici, fino alla Corte di cassazione, hanno riconosciuto la sua colpevolezza, condannandolo, al termine del terzo grado di giudizio, a venti anni di reclusione per tentata strage contro la sicurezza dello stato.
Cospito è stato riconosciuto colpevole, in via definita, di aver collocato, nel 2006, due bombe all’ingresso della Scuola Carabinieri in provincia di Cuneo, e di aver gambizzato, nel 2012, l’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare. Le modalità operative denotano una chiara matrice eversiva e l’utilizzo di strumenti propri del terrorismo brigatista. Entrambi questi episodi sono stati rivendicati dallo stesso Cospito come atti finalizzati a colpire il cuore delle istituzioni.
L’appello a Meloni non serve
Ora se le parole hanno ancora un senso e un senso lo ha ancora la nostra Costituzione, difficilmente si comprende chi fa appello al governo Meloni e al ministro Nordio perché revochi le misure restrittive applicate al detenuto sulla base di quanto previsto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario.
Il 41 bis ha assunto la sua attuale conformazione dopo la strage di Capaci, quando era chiaro a tutti che o si trovava un meccanismo per interrompere la linea di comando tra i detenuti e i criminali al di fuori dal carcere, o non si sarebbero potuti combattere i fenomeni criminali più gravi. La misura del così detto “carcere duro”, quindi, risponde a precise esigenze di garanzia della democrazia, delle sue istituzioni come dei suoi cittadini. In questi termini si è espressa più volte anche la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha ritenuto legittimo il 41bis (si veda, ad esempio, la sentenza Maiorano del 2009).
Certamente vi sono degli aspetti problematici come, ad esempio, il fatto che la misura del carcere duro non sia disposta da un giudice ma dal Ministro della Giustizia, quindi con un atto amministrativo, o che la durata rischia di essere illimitata; ma da qui a ritenere il 41 bis di per sé una misura contraria ai diritti dell’uomo ve ne passa, visto che anche le (possibili) vittime, e non solo i (certi) colpevoli, devono essere tutelati nei loro diritti.
Cedere significa aprire un vaso di pandora
Alcuni osservano che la situazione di salute di Cospito sia incompatibile con il 41 bis. Dinanzi a tale situazione, non causata dal carcere duro ma dallo stesso detenuto che ha scelto volontariamente di non alimentarsi più così da indurre lo Stato a revocare il 41 bis e poter tornare ad avere contatti col mondo eversivo di cui è leader, occorre essere fermi: cedere significherebbe aprire il vaso di pandora e svuotare di senso la misura del carcere duro. Non è una questione del governo in carica; non è una questione di destra o di sinistra; è una questione di civiltà.
Con una postilla: quando Cospito metteva bombe teorizzando una nuova strategia della tensione, in pochi lo ascoltavano; ora che la sua è una battaglia legale (seppur non condivisibile) è ascoltato. È il fallimento del movimento anarchico che per poter avere attenzione deve utilizzare gli strumenti e le garanzie previste da quello stesso Stato di diritto che vorrebbe abbattere, dimostrando così l’inutilità delle azioni contro e al di fuori dei principi essenziali dello stare insieme.
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