La vicenda della cronista arrestata in Iran è terribilmente complicata. Per risolverla il governo Meloni dovrebbe dare una prova di vero sovranismo, ispirandosi alla condotta del premier socialista durante la crisi di Sigonella
La vicenda di Cecilia Sala si è terribilmente complicata, dopo che le prime mosse del governo si sono rivelate fallimentari.
Immediatamente dopo l’arresto della giornalista si è imposto il silenzio alla stampa italiana, che incredibilmente ha omesso ogni informazione alla pubblica opinione in nome dello stato di necessità e della illusoria speranza che i «buoni rapporti con Teheran» vantati dal ministro degli Esteri garantissero una sorta di soluzione “aumma aumma” della questione.
I contorni del problema
Così non è stato e la questione è esplosa nella sua drammaticità. Adesso vediamone i contorni tecnici dopo tante parole al vento: l’Iran ha illustrato la posta in gioco, la libertà di Cecilia Sala contro quella di Mohammad Abedini, il tecnico accusato dagli Usa di terrorismo e traffico di armi belliche con cui sono stati uccisi soldati americani.
Mentre l’italiana è detenuta senza accuse precise ed un provvedimento motivato di arresto, senza che si abbia notizie che la stessa, detenuta in condizioni umilianti, risulti assistita da un legale di fiducia, autonomo ed indipendente, Abedini è detenuto dietro un’espressa richiesta di estradizione, secondo una legittima procedura contemplata dal codice italiano, ha potuto nominare un legale italiano, gode delle garanzie di legge.
È invero difficile ipotizzare che l’iraniano possa essere scarcerato in tempi brevi: il suo legale ha richiesto gli arresti domiciliari ma i giudici dovranno valutare se tale misura sia sufficiente a scongiurare il pericolo di fuga che come si ricorderà si verificò nel caso di una presunta spia russa e che originò un’iniziativa disciplinare del guardasigilli Carlo Nordio verso i magistrati che concessero gli arresti domiciliari. Vanno considerati diversi problemi, compresa la sicurezza di chi dovrà provvedere alla sorveglianza in modo costante ed effettivo.
L’alleggerimento della detenzione, peraltro, non risolverebbe il problema di fondo di Abedini che resterebbe comunque in attesa della decisione della Corte di Appello di Milano sulla estradizione in Usa.
La decisione
Una decisione complessa e non scontata: per essere consegnato agli americani i giudici italiani dovranno valutare essenzialmente due cose.
Innanzitutto che il reato contestato dagli Stai Uniti sia previsto anche dal nostro ordinamento (principio di doppia incriminazione), poi in secondo luogo che la sanzione prevista dal codice penale statunitense non preveda la pena di morte, il che è assai probabile, visto che nelle accuse sommariamente esposte nella richiesta di arresto si riferisce della uccisione di soldati americani causata dagli ordigni che Abedini avrebbe contribuito a fabbricare coi suoi traffici.
Il codice italiano e la giurisprudenza costante della Corte Costituzionale e della Cassazione vietano espressamente l’estradizione,pur in presenza di una convenzione tra Italia e paese richiedente, se l’ordinamento straniero preveda la pena di morte o condizioni degradanti di detenzione (si pensi ai Talebani detenuti a Guantanamo dopo la strage delle Torri Gemelle nel 2001) ed anche se il paese richiedente dovesse assicurare di non applicare la pena capitale.
Il problema è che la procedura di estradizione può durare diversi mesi, sarà una battaglia aspra in cui presumibilmente si costituirà pure il governo americano. Ci si può concedere il lusso di lasciare Sala detenuta nel frattempo?
L’esempio
Resta allora un’unica via, che il governo italiano con un atto politico firmato dal ministro di giustizia autonomamente rifiuti la consegna di Abedini in quanto «questa può compromettere la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato».
Una formula sufficientemente vasta, prevista dall’art.697 del codice che legittima la decisione: il punto è il rischio di scontro con il governo di Donald Trump che sta per insediarsi e che certo non ha mai dimostrato tolleranza verso l’Iran e non può concedersi il lusso di sembrare indulgente.
Meloni ha un illustre esempio cui ispirarsi Bettino Craxi nell’85 schierò i carabinieri a Sigonella di fronte ai marines che Reagan aveva inviato in Italia per prelevare i palestinesi che avevano dirottato una nave ed ucciso un cittadino americano. Fu il primo atto di sovranismo di un governo italiano della prima repubblica: oggi non si deve fortunatamente mandare l’esercito, solo mostrare un po’ di dignità senza chiacchiere, anche se è difficile evocare i diritti umani che si negano quotidianamente a detenuti nel proprio paese, mi rendo conto. Coraggio, presidente.
© Riproduzione riservata