Le critiche di Christian Raimo al ministro Giuseppe Valditara – per esempio, il paragone fra il ministro e la Morte Nera (nella saga di Star Wars, una stazione orbitale dell’Impero, distrutta dall’Alleanza Ribelle sfruttando il suo unico punto debole), o l’aggettivo “lurido” – hanno impressionato molti. Raimo voleva dire che il punto debole da colpire per smantellare l’armamentario di idee di questa destra è l’ideologia che traspare da certi provvedimenti del ministro.

Per queste esternazioni Raimo viene fatto oggetto di provvedimenti disciplinari da organi dell’amministrazione cui appartiene. Il primo provvedimento ha portato a una censura. Un secondo procedimento adesso in corso potrebbe portare a una sospensione degli emolumenti e poi, eventualmente, al licenziamento.

Per quanto se ne sa, la norma richiamata è l’art. 13, comma 4, del decreto ministeriale 105, del 2022: «Il dipendente si astiene dal pubblicare, tramite l’utilizzo dei social network, contenuti che possano nuocere all’immagine dell’Amministrazione». Il senso parrebbe essere quello di tutelare l’immagine dell’amministrazione. Ci sono svariati dubbi su questa norma. Alcuni riguardano la sostanza, altri l’applicabilità.

Sulla sostanza: non è chiaro se una norma del genere sia adatta a un luogo come la scuola, dove la libertà di critica dovrebbe essere la sostanza e l’oggetto dell’insegnamento. Sicuramente, un docente o un impiegato che sistematicamente divulghi contenuti lesivi dell’immagine dell’amministrazione infligge un danno e dovrebbe astenersene, soprattutto se lo fa in contesti pubblici.

Ma un docente o un impiegato che con sincerità esprima dubbi sulle politiche o sulla concezione di scuola che anima certe disposizioni e normative lede l’immagine dell’amministrazione? Magari un docente o un impiegato che poi queste normative le applica, pur criticandole? Non è la scuola un settore dell’amministrazione pubblica in cui la libertà di pensiero e la discussione franca sono lo scopo costitutivo? Al netto di infelicità verbali e accenti eccessivi, un docente critico lede o rinforza l’immagine della scuola democratica?

Ancora meno chiaro è se questa norma si confaccia a una società liberal-democratica, dove la libertà di critica garantisce l’autonomia dei cittadini e la discussione pubblica democratica.

Un ulteriore dubbio riguarda l’applicabilità di questa norma. Perché la critica di Raimo configuri un danno all’immagine dell’amministrazione, si deve sostenere che criticare le scelte politiche del ministro leda l’immagine dell’amministrazione che egli dirige con un incarico politico. Ma il ministro non è un semplice membro dell’amministrazione, né ne è solo un dirigente. È anche un uomo politico che elabora e difende posizioni politiche ampie; lo ha fatto in libri, convegni e lo fa tramite le disposizioni di legge che promuove. Questo è legittimo, dato che essere ministro significa proprio esercitare un indirizzo politico. Ma è legittimo pure che un cittadino, che è anche docente, esprima critiche a un certo indirizzo politico. Queste critiche possono essere sbagliate, e sono state formulate con linguaggio infelice.

Ma in che senso ledono l’immagine dell’amministrazione? Raimo non attacca l’amministrazione della scuola, non accusa Valditara di negligenza, o corruzione. Semmai contesta – talvolta troppo sbrigativamente e cedendo al gusto della provocazione, talaltra con maggiore ponderazione e approfondimento – le scelte di indirizzo politico.

Raimo non lede l’onorabilità in quanto funzionario del ministro, che non è più un funzionario. Né ne lede l’onorabilità in quanto persona, per quanto “lurido” sia francamente eccessivo. Ne contesta le scelte politiche. Non si capisce perché tutto questo dovrebbe essere oggetto di un provvedimento disciplinare, di tipo più o meno amministrativo.

La critica di Raimo rinforza l’immagine della scuola pubblica italiana, mostrando che è ancora un luogo vivo, in cui ci sono persone che pensano e hanno il coraggio di farlo. Forse, la reputazione della scuola italiana ci avrebbe guadagnato se Valditara avesse preso sul serio le critiche di Raimo e dei tanti altri pedagogisti che hanno pazientemente spiegato perché il voto numerico è uno stigma e il voto in condotta uno strumento arbitrario di tirannia, che va contro il pluralismo, il garantismo, l’integrazione e la protezione delle neurodiversità.

Un dibattito pubblico, una discussione sincera, la capacità di tornare indietro, eventualmente, ci sarebbero voluti, più che un anodino provvedimento disciplinare, che sottolinea la gerarchia, più che la discussione.

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