Ci sono tante cattive notizie da riconoscere nei cieli dell’anno scolastico che sta per iniziare. Come spesso accade, l’estate in cui si fermano le attività in classe, si anima invece il dibattito su quello che potrebbe essere, dovrebbe essere, sarà il sistema scolastico prossimo e meno prossimo venturo. In queste ultime settimane hanno tenuto banco due temi: le nuove linee guida sull’educazione civica e la proposta di una legge sullo ius scholae. La qualità del confronto è stata penosa nei rispettivi ambiti, ma lo è ancora di più se si accostano i due dibattiti.

Il solito Valditara

Le nuove linee guida sono un manifesto neonazionalista e neoliberista insieme, si parla del «nesso tra senso civico e sentimento di appartenenza alla comunità nazionale definita Patria» e «di promozione della cultura d’impresa che, oltre a essere espressione di un sentimento di autodeterminazione, è sempre più richiesta per affrontare le sfide e le trasformazioni sociali attuali».

Rispecchiano in modo pedissequo le cose che ripete il ministro Valditara praticamente ogni giorno in dichiarazioni istituzionali o interviste a tutto campo, autocitandosi senza pudore e ribadendo la sua prospettiva ideologica: il personalismo di stampo cattolico per cui c’è solo accordo e compenetrazione tra scuola e impresa, nessun conflitto di interessi attraversa il mondo della produzione, non esiste sfruttamento, capitale e lavoro marciano uniti per la crescita e la produttività.

Ma non è solo questa la ragione per cui queste linee guida sono pessime: antimoderne, classiste, velleitarie. Come ha letteralmente sottolineato, riga per riga, qualche giorno fa il Consiglio superiore della pubblica istruzione, un organo indipendente anche se interno al ministero dell’istruzione e del merito, queste linee guida sono scritte in modo disastroso: confusione terminologica, sovrapposizione di competenze, cattivo italiano, assenza di temi fondamentali…

Il flame estivo

Dall’altra parte il dibattito sullo ius scholae, che è sembrato solo purtroppo un flame estivo, uno sgomitare strumentale di Forza Italia nella maggioranza di governo per togliere consenso alla Lega sempre più vannacciana dopo le elezioni europee. Lo ius scholae prevederebbe il riconoscimento della cittadinanza italiana per i giovani con background migratorio nati in Italia o arrivati prima del compimento dei 12 anni che risiedano legalmente e che abbiano frequentato regolarmente almeno 5 anni di studio nel nostro Paese, in uno o più cicli scolastici.

Diventerebbero cittadini italiani, se oggi ci fosse questa norma, centinaia di migliaia di studenti da subito e nei prossimi anni. Nonostante la lapalissiana centralità del sistema scolastico in una trasformazione di questo tipo, il mondo della scuola non è stato minimamente interpellato, non ci si è chiesto nemmeno come già ora la scuola è una palestra di cittadinanza de facto se non de jure, e cosa vuol dire educare alla cittadinanza.

L’accostamento di questi due dibattiti così poco qualificati produce un pastone incommestibile, per la presenza non dichiarata di un ingrediente velenoso: il concetto di identità italiana. Cosa vuol dire essere italiani? Cosa vuol dire appartenenza alla patria? Cosa vuol dire integrazione? Cosa vuol dire cittadinanza? È molto chiaro come per una parte politica (governo e ministro Valditara) l’identità italiana è un costrutto di tradizioni e ideologie che contempla una superiorità culturale e politica nei confronti delle culture non italiane, alla quale gli studenti con background migratorio dovrebbero uniformarsi, adattarsi, assimilarsi, partendo da una posizione non diversa, ma inferiore.

L’impressionismo al potere

Ma ancora non siamo arrivati alla notizia peggiore, che invece ricaviamo dal panel che si è svolto al meeting di Comunione e liberazione a Rimini, intitolato “L’educazione non è un accumulo”, con ospite il ministro Valditara. La discussione si può riascoltare tutta su Youtube, ed è tanto istruttiva quanto disarmante. Intorno all’impianto della prospettiva di Valditara c’è un accordo di quasi tutto l’arco parlamentare: Francesco Filini di Fratelli d’Italia, Stefano Patuanelli del Movimento Cinquestelle, Raffaella Paita di Italia Viva, Simona Malpezzi del Pd sono pronti a sottoscrivere l’interpretazione personalistica della Costituzione che Valditara riespone per l’ennesima volta.

Gli elementi chiave sono due: differenziazione quanto più possibile precoce (Valditara la definisce valorizzazione dei talenti) e integrazione sempre più forte tra scuola e impresa. L’obiettivo polemico è la scuola gramsciana, è detto esplicitamente, vale a dire quell’idea che Gramsci – in anticipo di trent’anni sul riformismo repubblicano che varò nel 1962 la scuola media unica – di allungare il più possibile il tronco comune scolastico, per contrastare le disuguaglianze sociali, le opportunità di partenza.

Non è solo un provocatore come Vannacci a mettere in discussione l’eliminazione delle classi differenziali, ma è una serie di episodi come quello della scuola di Pioltello o più di recente della scuola di Bolzano, dove si creano a seconda della provenienza linguistica delle famiglie, classi separate.

Differenziare, personalizzare, creare percorsi sempre più singolari come il liceo Made in Italy o la sperimentazione del 4+2, rispondere alle esigenze delle famiglie e del mondo del lavoro, creare percorsi individualizzati, in nome di imprecisati talenti innati, o di una malainterpretata teoria delle intelligenze multiple di Gardner, è quella confusissima visione ideologica in cui si riconosce gran parte della classe politica italiana.

Il panel di Rimini è la fotografia impietosa del livello del dibattito sulla scuola oggi: nessuna competenza pedagogica, nessuna conoscenza della bibliografia internazionale, nessun dato di riferimento, tanto impressionismo – è interessante che per parlare di scuola ognuno parli dei propri figli come se il proprio caso particolare fosse paradigmatico.

Sarà un anno difficilissimo, le molte trasformazioni che vengono annunciate dall’irrefrenabile Valditara in realtà non rispondono a modifiche sostanziali dell’assetto del sistema scolastico, ma fanno un danno peggiore: è come se insufflassero sabbia in un motore già malmesso.

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