La sinistra europea appare debole di fronte alle destre anche perché il suo programma è poco più che una saggia lista di cose desiderabili. Per attirare gli elettori serve una filosofia politica capace di dare coerenza a valori e proposte
«Piuttosto debole»: così Carlo Trigilia giudica la risposta del Partito socialista europeo (Pse) alla sfida delle destre. Le proposte non sono all’altezza dei valori rivendicati, ha spiegato su Domani, e ciò anche a causa dello squilibrio strutturale dell’Unione europea, che ha accentrato la politica monetaria ma non quelle di bilancio e di protezione sociale. Le sue conclusioni sono infatti sulla «governance della Ue».
Un’altra ragione di delusione, a mio parere, è che al Pse manca una filosofia politica capace di ordinare valori e proposte in un sistema coerente, e di offrire agli elettori un orizzonte che essi possano quantomeno vedere, per decidere se è desiderabile e credibile. Neppure questo problema è nuovo, ma non è meno serio.
Trigilia riassume così i valori distintivi del Pse: «Stato di diritto, democrazia rappresentativa, lotta alle disuguaglianze e alle discriminazioni di ogni tipo, sviluppo inclusivo». Sono tutti condivisibili, ma cosa li tiene insieme? Che visione della società li anima? Non è chiaro, e ciò non aiuterà il Pse di fronte a destre che promettono rimedi semplici e radicali.
Eppure esiste una filosofia politica che potrebbe dare vita a quei valori, e orientarli coerentemente verso un orizzonte visibile. È quella repubblicana, o neo-repubblicana, della quale ho già scritto. A dispetto del nome non ha nulla in comune con Donald Trump, e relativamente poco con gli eredi politici di Ugo La Malfa. È una teoria politica fondata sulla concezione classica della libertà.
Padroni di se stessi
La concezione oggi prevalente, che riceviamo dalla tradizione liberale, fa coincidere la libertà con l’assenza di interferenze nelle nostre scelte («sono libero se nessuno mi forza a fare ciò che non voglio, o a non fare ciò che voglio»). Questa idea è pressoché spontanea e può sembrare convincente, ma ignora un punto cruciale: le asimmetrie di potere.
La concezione repubblicana intende invece la libertà come assenza di dominazione: se in qualche ambito della mia vita sono soggetto al potere incontrollato altrui, in quell’ambito non sono libero. Detto in termini positivi, per i repubblicani libertà significa essere padroni di se stessi, quantomeno nei principali ambiti della nostra vita.
Difficilmente sarà libero il lavoratore precario, per esempio, il cui reddito dipenda dalla scelta del datore di lavoro sul rinnovo del contratto; la discrezionalità rimessa al datore di lavoro, sulla quale il lavoratore non ha controllo, crea un’asimmetria di potere tale da intaccare lo status di persona libera che il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione promette a ciascuno. Il precariato è un tema tipico della sinistra, tra l’altro, che però mai lo declina come un problema di libertà, come invece manifestamente è.
La comparazione è semplice. Mentre la concezione liberale si preoccupa delle singole interferenze che possiamo subire nelle nostre scelte, quella repubblicana si preoccupa dell’origine di quelle interferenze: il potere di interferire nelle nostre scelte. È quindi una concezione che opera a un livello superiore, e di fatto include quella liberale.
Da essa discende quasi linearmente una teoria della giustizia, politica e sociale, che ci offre l’immagine di una democrazia nella quale i cittadini esercitino uguale ed efficace controllo su chi li governa, e di una società nella quale ciascuno possa camminare a testa alta tra i propri pari, guardando chiunque negli occhi senza ragione di timore o deferenza.
Una vera rivoluzione
Questi sono obiettivi lontanissimi, naturalmente, ma realistici. Perché ogni passo nella loro direzione, ogni politica pubblica che li persegua, darebbe risultati desiderabili di per sé, anche alla luce dei valori elencati sopra.
Infatti «stato di diritto [e] democrazia rappresentativa» sono strumenti per realizzare ciò che i repubblicani definiscono l’eguale controllo dei cittadini sui governanti, e sia la «lotta alle disuguaglianze e alle discriminazioni» sia lo «sviluppo inclusivo» sono politiche utili ad avvicinare ciascuno alla condizione di essere pienamente padrone di se stesso. Ognuna di queste politiche aggredirebbe un genere di asimmetrie di potere (e ridurle accelererebbe la crescita: ma di questo scriverò in seguito).
Presentare credibilmente un simile programma potrebbe sgonfiare le vele di molti demagoghi europei. Nella piccola palude del dibattito politico italiano l’effetto sarebbe dirompente, se qualcuno avesse il coraggio politico e intellettuale di impugnare con determinazione la bandiera della libertà (repubblicana).
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