- Non è cambiata la linea di Draghi, ma la situazione sul campo: l’invasione russa dell’Ucraina è stata bloccata, ed il conflitto più limitato che ne è seguito potrebbe avviarsi allo stallo.
- In altre parole, la “nuova” linea è solo uno sviluppo naturale e coerente della posizione che l’Italia ha sempre tenuto, e che si va modificando in funzione dei cambiamenti sul terreno (com’è logico che avvenga).
- La linea sottolinea anche un allineamento inequivocabile di Draghi con le posizioni europee di Macron e Scholz, anche in funzione di controcanto rispetto a certi eccessi nelle dichiarazioni da Guerra Fredda di Washington e Londra.
Le dichiarazioni di Mario Draghi a Washington che enfatizzano la necessità di un negoziato tra Ucraina e Russia sono state lette come una sconfessione della linea tenuta sinora. In realtà non è cambiata la linea di Draghi, ma la situazione sul campo: l’invasione russa dell’Ucraina è stata bloccata, ed il conflitto più limitato che ne è seguito potrebbe avviarsi allo stallo. Questo potrebbe aprire finalmente uno spiraglio politico per negoziare, ed è su questo spazio di manovra, prima inesistente, che Draghi ha iniziato a lavorare.
In altre parole, la “nuova” linea è solo uno sviluppo naturale e coerente della posizione che l’Italia ha sempre tenuto, e che si va modificando in funzione dei cambiamenti sul terreno (com’è logico che avvenga).
Il 1° marzo, nella sua informativa al parlamento, Draghi aveva spiegato che l’inerzia di fronte all’invasione avrebbe incoraggiato altre aggressioni da parte del Cremlino e quindi messo a rischio la pace del continente.
Di qui la decisione, condivisa con gli alleati, di fornire a Kiev armamenti ed equipaggiamenti per difendersi. Draghi aveva espresso anche la sua determinazione nel ricercare la pace, ma aggiungendo che avrebbe richiesto la volontà di tutte le parti in causa e «chi ha più di 60 km di carri armati e altri blindati davanti alle porte di Kiev, non vuole la pace». Qui si cela un passaggio implicito, che spiega perché la “svolta” draghiana di questi giorni a favore dei negoziati non sia affatto tale.
Incentivi
Occorre considerare che un negoziato tra due parti di un conflitto è possibile solo se entrambe nutrono scarsa speranza di conseguire i propri obiettivi militari in tempi ragionevoli e prevedibili. Se una parte ritiene che la guerra stia andando bene, che in breve il proprio esercito prevarrà, allora quella parte rifiuterà di negoziare seriamente.
Perché trattare, e quindi giocoforza concedere qualcosa al nemico, se basta attendere per prendersi tutto senza concedere nulla?
Questa era la situazione in Ucraina fino a poche settimane fa. I russi erano alle porte di Kiev: ancora uno sforzo, speravano al Cremlino, e l’Ucraina sarà nostra. In una tale situazione, i russi non avevano alcun interesse a negoziare: stavano per prendersi tutta l’Ucraina, in cambio di nulla. Appellarsi ad un negoziato in quel frangente era perfettamente inutile. L’unico accordo possibile sarebbe stato molto simile ad una resa incondizionata dell’Ucraina, perché per Mosca non sarebbe stato logico accettare di meno.
Ora, grazie alla testarda resistenza delle forze armate ucraine, a sua volta resa possibile dal sostegno di americani ed europei, la Russia ha nettamente perduto quella fase del conflitto.
Ha dovuto rinunciare a trasformare l’Ucraina in un paese satellite e ora combatte per acquisire la sua parte orientale e meridionale, ma questa nuova fase pare avviata verso una situazione di impasse.
I progressi russi nelle ultime tre settimane sono stati insignificanti, ed una possibile offensiva verso Odessa sembra ormai impraticabile. Gli ucraini, dal canto loro, stanno eseguendo una serie di contrattacchi locali, ma non sembrano in grado di strappare ai russi larghe porzioni di territori sinora conquistati, e certamente non quelli di fatto annessi nel 2014 (Crimea e repubbliche-fantoccio del Donbass).
Sostenere Kiev
Se questa situazione si protraesse e consolidasse, un negoziato diverrebbe teoricamente possibile – non certo e forse nemmeno probabile, ma possibile. Ecco allora che il “cambio di linea” di Draghi appare per quel che è: la naturale evoluzione di una politica che è sempre stata per la pace e contemporaneamente a sostegno dell’Ucraina, e che solo ora enfatizza l’impegno per i negoziati perché solo ora vede profilarsi quelle condizioni sul terreno che sono precondizione necessaria per un negoziato.
E sottolinea anche un allineamento inequivocabile di Draghi con le posizioni europee di Macron e Scholz, anche in funzione di controcanto rispetto a certi eccessi nelle dichiarazioni da Guerra Fredda di Washington e Londra.
Se vogliamo che questa possibilità abbia speranza di concretizzarsi, dovremo però continuare a sostenere Kiev, anche militarmente.
Altrimenti, lo squilibrio delle forze in campo che si determinerebbe farebbe nuovamente pendere la bilancia a favore di Mosca, provocando quindi una immediata recrudescenza della fase più dinamica, e quindi drammatica e devastante, del conflitto.
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