La regione ex rossa va al voto con un po’ ansia, dopo vicende climatiche che l’hanno duramente provata, appena stemprata dall’ultima chiamata a raccolta antifascista provocata dalle incursioni autorizzate delle bande neofasciste a Bologna.

È la regione dove è sorta la stella di Elly Schlein, dove Giuseppe Conte si è accodato per non rinunciare a qualche seggio assicurato e dove il centro-sinistra cerca quanto meno di portare a casa il risultato.

Certo, oggi si paventa l’astensionismo e il Pd invita ad andare a votare «per impedire che vinca la destra». Eppure, dieci anni fa Stefano Bonaccini è stato eletto con 615.723 voti (il 49 per cento) e la sua coalizione ha ottenuto 32 seggi, quando l’affluenza è stata appena del 37,7 per cento, un calo spaventoso del 30,3 per cento rispetto al turno precedente.

I Cinque stelle presero 167mila voti e (il 13,3 per cento) e cinque seggi. Pur con un’affluenza così bassa, Elisabetta Gualmini, che sarà poi vice-presidente, aveva però detto che «così funziona la democrazia» e la pratica era stata archiviata. Nessuna riflessione era stata fatta sul calo dei votanti.

Le elezioni del 2020

Il 26 gennaio 2020 Bonaccini è stato eletto con 1.195.819 voti (il 51,4 per cento), ottenendo 29 seggi, mentre alla destra sono andati poco più di un milione di voti (il 43,6 per cento) e 19 seggi e i Cinque stelle ne hanno ottenuti appena due (con 102.595 voti, contro gli 80mila del loro candidato presidente).

Le tre liste a sinistra avevano ottenuto, separate, 23mila voti e nessun seggio. L’affluenza, grazie alla «chiamata alle armi» delle “sardine” contro la “minaccia Salvini”, era risalita al 67,7 per cento. Il Pd ha ottenuto così 22 seggi, la lista di Elly Schlein Emilia-Romagna Coraggiosa Ecologista e Progressista, alleata di Bonaccini, 81.419 voti e due seggi, i Verdi un seggio, la lista Bonaccini presidente (con il candidato di Italia viva) tre seggi (i voti al Pd e alla lista Bonaccini sono stati 874mila).

Le regionali 2024

La coalizione di centro-sinistra, in realtà, appare questa volta più debole e con meno spinta del 2020, quando la novità rappresentata da Elly Schlein riuscì a far convergere una buona fetta di elettorato di sinistra sulla coalizione.

Alle ultime elezioni europee del giugno 2024, quando ha votato il 59 per cento degli aventi diritto, il Pd ha ottenuto appena 716.539 voti (36,1 per cento), il M5s 142.283 (7,2 per cento), AVS 129.576 (6,5 per cento), Azione 63mila (3,2 per cento) e Iv con +Europa 59mila (3 per cento). La destra ha preso, invece, quasi 806mila voti (40,6 per cento), mentre Pace, Terra, Dignità ne ha presi 46mila (2,3 per cento).

Nonostante il buon risultato alle europee, anche se inferiore a quello del 2020, nel centro-sinistra nessuno sembra portare alcun vento nuovo e sono tutti spaventati che – dopo la delusione provata per l’esperienza di Schlein al governo della regione e in conseguenza delle alluvioni – l’elettorato scelga di nuovo di non recarsi alle urne. La destra, però, non pare avere né un programma né candidati credibili per un’alternativa seria. E l’astensione sembra l’unica alternativa a un sistema che appare congelato.

Il tema dell’ambiente

Se l’astensione si fermerà al 41 per cento, come alle europee, la coalizione di centro-sinistra non dovrebbe avere problemi a ottenere la maggioranza e griderà vittoria se raggiungerà il milione di voti e 30-32 seggi, lasciandone 17-19 alla destra. AVS potrà brindare se confermerà i voti delle europee e il M5s potrà tirare un sospiro se il suo gruzzolo non scenderà troppo sotto i centomila voti. La destra, dal suo canto, non farà molto meglio delle europee e sarà soddisfatta dei suoi 800mila voti.

Dopo le alluvioni del 2023 e di quest’anno, il tema dell’ambiente e dell’uso del territorio è entrato di prepotenza nel dibattito e tutti assicurano che si porrà un limite al consumo di suolo e ci si prenderà cura del dissesto idro-geologico su cui da tempo i rapporti dell’Ispra puntano l’indice.

Ma non c’è da stare troppo tranquilli, poiché le stesse promesse erano state fatte anche nel 2020. Ora è diventato facile dare la colpa al “cambiamento climatico”, come se anche la regione non dovesse fare la sua parte. Oltre ai primati nazionali nel consumo di suolo, infatti, l’Emilia-Romagna risulta essere la prima per emissioni di gas serra causate dai trasporti. Eppure, si continua a costruire – grandi opere e autostrade sono tra le priorità elencate dal candidato presidente – e nulla si intende fare per diminuire il trasporto privato – auto, camion e furgoni – a favore di quello pubblico.

La regione mostra poi notevoli disparità di reddito tra le aree urbane e quelle interne, ed è qui che la destra è maggioritaria da almeno dieci anni. Ma al Pd e ai suoi alleati non pare importare più di tanto, visto che il loro fedele bacino di voti è tra i ceti medi e medio-alti delle città.

Cambierà poco, dunque, e si continuerà a insistere sul “modello emiliano” fatto di industria e finanza nelle pianure inurbate, relegando le aree periferiche alla loro “vocazione turistica”. Finché la natura franosa e argillosa di quelle valli non presenterà altri e più pesanti conti. Poteva darsi uno scenario diverso, se solo Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli avessero fatto gara a sé, raccogliendo anche ulteriori voti a sinistra e tra gli “scontenti” del “blocco di potere” Pd, senza per questo far vincere la destra – un Pd più isolato avrebbe raccolto i voti dispersi dei cespugli centristi – invitando al “voto utile” che per molti è diventato il “meno peggio”. In questo modo, però, si favorirà l’ulteriore distacco tra il corpo elettorale e i partiti. È andata così: contenti loro, scontenti molti.

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