È evidente che Emmanuel Macron, nonostante gli studi alti, si è dimenticato della favola di Esopo sulla rana e lo scorpione. Dove la rana è lui medesimo e lo scorpione Marine Le Pen. Così, il Rassemblement National farà cadere il governo di Michel Barnier, mandando in frantumi il tatticismo miope ma scambiato per genialità di Macron
È evidente che Emmanuel Macron, nonostante gli studi alti, si è dimenticato della favola di Esopo sulla rana e lo scorpione. Dove la rana è lui medesimo e lo scorpione Marine Le Pen.
Il presidente francese aveva scelto di traghettare il Rassemblement National dentro le stanze del potere con la non-sfiducia al governo di minoranza che aveva varato dopo le laboriose e persino drammatiche elezioni europee e politiche del giugno-luglio scorso.
Lo scambio di favori era palese. Marine giungeva al termine del cammino di “dediabolizzazione” ed entrava finalmente nelle istituzioni della République superando quella “conventio ad excludendum” che l'aveva da sempre relegata all'opposizione.
Emmanuel evitava di consegnare il governo alla sinistra da lui aborrita almeno quanto se non più dell'estrema destra. Ma esattamente come lo scorpione dell'autore greco che punge la rana in mezzo al fiume e entrambi non raggiungono l'altra sponda, Le Pen, al primo disagio, fa riemergere la sua vera natura.
Al netto di miracoli difficilmente pronosticabili, domani il Rassemblement National, unendo i suoi voti a quelli del Nuovo Fronte Popolare, farà cadere il governo di Michel Barnier, mandando in frantumi il tatticismo miope ma scambiato per genialità politica con cui Macron ha cercato di salvare se stesso imponendo un esecutivo di centro quando il centro non è mai esistito in Francia o meglio non è mai stato maggioranza nel Paese che ha inventato il dualismo destra-sinistra.
Era evidente che non avrebbe retto un governo affidato a un premier espressione dei Republicains, il partito che fu di Chirac poi di Sarkozy, arrivati quarti (quarti!) alle elezioni. Solo un presidente “jupiterista”, come è stato definito, poteva avere l'ardire di pensare che sarebbe bastato il suo carisma, peraltro in forte declino, per obbligare i francesi a digerire un progetto clamorosamente bocciato alle urne.
La scommessa, più simile a una roulette russa, è durata sessanta giorni per naufragare al primo scoglio che si è parato sul cammino, una legge di bilancio lacrime e sangue, fortemente impopolare. La crisi economica e finanziaria dell'Esagono rende necessari i sacrifici, ma dipende a chi vengono chiesti, anche stavolta sempre agli stessi, e dunque invisa se promossa dal presidente che nell'arco dei suoi ormai sette anni e mezzo di mandato non ha lesinato favori ai ricchi.
Barnier ha cercato la mediazione della disperazione con Marine Le Pen annunciando la disponibilità a non sospendere i rimborsi di alcuni medicinali e cassando la proposta di aumentare la tassazione delle bollette elettriche, come era previsto. Ma non ha accettato il diktat sulla rinuncia alla deindicizzazione per sei mesi delle pensioni rispetto all'inflazione.
Così ha fatto ricorso all'articolo 49.3 della Costituzione che permette di varare una legge senza passare dal voto del Parlamento. Le sinistre e l'estrema destra hanno allora optato per le mozioni di censura (cioè la sfiducia) cosa che provocherà, se confermata domani al redde rationem, una crisi istituzionale senza precedenti. Gli elettori non potranno essere richiamati ai seggi prima dell'estate prossima e la Francia si troverà come un'automobile che procede a fari spenti nella notte.
La svolta, peraltro largamente annunciata, è figlia dei machiavellismi di Macron. Dopo le europee che avevano plebiscitato il Rassemblement National, aveva sciolto le Camere e per evitare la deriva a destra aveva favorito, grazie alle desistenze, la formazione di un fronte di sinistra che era risultato primo. Salvo infine, a Olimpiadi concluse, nominare Barnier coinvolgere le destre per impedire l'accesso al potere a Jean-Luc Mélenchon, suo acerrimo nemico, usato come “utile idiota” nel momento dell'emergenza democratica e poi impietosamente scaricato.
Quanto a Marine, forse ha giocato nella sua scelta il processo per una questione di fondi neri al Parlamento europeo cui dovrà sottoporsi in primavera e che potrebbe sfociare alla sua ineleggibilità.
Dunque affondare la rana-Macron con il suo pungiglione potrebbe portare alle dimissioni dell'attuale inquilino dell'Eliseo. Partirebbe la campagna per la poltrona più alta prima dell'eventuale condanna. Uno scenario non inverosimile.
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