L’Italia è stata condannata più volte dalla Corte dei diritti dell’uomo. Eppure con questo esecutivo è tornato il sovraffollamento e vengono riammessi in servizio i picchiatori
La semplificazione culturale, condita da un’ottima dose di sana propaganda securitaria, che il governo Meloni riesce a esprimere sul tema delle carceri italiane è drammaticamente imbarazzante. Ne viene fuori un sistema che apre la porta a metodi di gestione fondati su violenze, abusi e trattamenti degradanti per arginare situazioni di emergenze da vero e proprio collasso.
Il conteggio dei suicidi è oramai inarrestabile e si estende anche a coloro che ci lavorano, come gli agenti della penitenziaria. Problemi strutturali colpevolmente irrisolti per i quali l’Italia è oramai paese “pregiudicato” recidivo da numerose condanne pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Le rivolte esplodono sempre più numerose, e allora il sottosegretario Delmastro allestisce un set degno di Gotham City, annunciando alla stampa la creazione di nuovi corpi speciali per stabilizzare il sistema e mettere in legalità le carceri.
Il modello, senza dirlo esplicitamente, potrebbe essere quello della mattanza di Santa Maria Capua Vetere del 6 aprile 2020 che vede oggi imputati un centinaio di agenti sorpresi dalle telecamere mentre ”ristabiliscono la legalità” e lo stato di diritto colpendo violentemente e ripetutamente detenuti inerti e inoffensivi, del tutto incapaci di difendersi. Questi ultimi verranno tuttavia raccontati come pericolosissimi facinorosi attraverso un’attività spudoratamente depistante ordita da alcuni dirigenti e poi smascherata dagli inquirenti.
I corpi speciali dovranno fare questo? No, per il momento, perché sono tanto speciali da essere dotati di una direttrice priva, tuttavia, di personale. Al governo Meloni non interessa nulla delle condizioni in cui sono le carceri italiane e nulla di quanto è accaduto a Santa Maria Capua Vetere. Tantomeno del processo in corso che vive con malcelato fastidio. Meno se ne parla, meglio è. Andrea Delmastro in testa, nella sua coerenza, si fece promotore, quando accaddero quei fatti ignobili, di un’interpellanza al ministro della Giustizia affinché i protagonisti venissero addirittura promossi.
Era all’opposizione, il sottosegretario di oggi, che, coerentemente, continua indefesso a rendere sempre più duro il lavoro dei magistrati perorando l’abolizione della legge che punisce gli atti di tortura subiti da chi è nelle mani dello Stato e adoperandosi affinché coloro che ne sono accusati non vengano sospesi, o vengano reintegrati se lo sono stati.
Le immagini sono eloquenti e inequivocabili. Le falsità su cui si fondano i depistaggi, altrettanto. Tuttavia il ministero si preoccupa giustamente del fatto che quegli imputati sono da troppo tempo a stipendio ridotto. A Delmastro non interessa nulla del lavoro dei magistrati, ovviamente. Ma a lui, propaganda elettorale a parte, interessa di fatto molto poco anche degli agenti della penitenziaria, delle loro condizioni di lavoro e di vita.
Registriamo la grande soddisfazione di alcune sigle sindacali per i reintegri del personale incriminato a Santa Maria, ma non possiamo esimerci dal prendere atto delle vibranti proteste di altre sigle che, viceversa, si preoccupano dei contratti di lavoro mai rinnovati dei propri iscritti, letteralmente “imbufaliti” per le promesse mai mantenute dal governo.
Stati d’animo diversi dei quali, ne siamo purtroppo certi, si terrà conto solo dei primi.
Questo governo non ha nessuna voglia di farsi seriamente carico del problema dello stato delle carceri. E nemmeno delle condizioni contrattuali di lavoro degli agenti, deficit di organici compresi.
Lasciamoli picchiare e poi si vedrà. Triste ma vero.
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