- Il segretario della Nato ammette che nessuno è in controllo. L’escalation prosegue mettendoci tutti in pericolo.
- Si discute tra chi pensa che la pace si prepara con la guerra e chi invece la vede più sicura con il negoziato.
- Diffidenza e scetticismo obnubilano il giudizio ma le generazioni future saranno garantite solo da una trattativa a lungo termine.
Mentre prosegue una lenta ma apparentemente inesorabile escalation (Finlandia nella Nato contro missili Iskander in Bielorussia), il segretario generale dell’alleanza atlantica Jens Stoltenberg ha dichiarato: «Non sappiamo quando questa guerra finirà, ma quando ciò accadrà dovremo mettere in piedi accorgimenti in modo tale che la storia non si ripeta».
Abbandonando per una volta la retorica della vittoria e l’annuncio di prossime decisive offensive, Stoltenberg riconosce due fatti: la guerra può eternizzarsi; non ci sono ancora garanzie perché ciò non si ripeta. Nelle parole del più alto rappresentante della Nato vengono meno due ragioni molto care a chi sostiene la guerra ad oltranza: la convinzione che la Russia possa essere vinta (più o meno rapidamente); che tale vittoria sia necessaria perché non vi sia ripetizione dell’aggressione. Chi invece sostiene che si debba tentare il negoziato, ritiene che soltanto una trattativa possa rappresentare una garanzia realistica.
Tra queste due posizioni – entrambe basate sull’alleanza con Kiev e sul sostegno alla sua resistenza – il dibattito ferve. Non si tratta di pacifismo ma di realismo geopolitico: cercare la migliore soluzione (alcuni la chiamano pace giusta) non solo al conflitto ma anche al futuro assetto di sicurezza in Europa.
Le due strade per fermare la guerra
In altre parole: cosa può garantirci meglio una pace stabile, arginando al contempo (il più a lungo possibile) la possibilità che uno stato ne aggredisca un altro? A tale domanda si può rispondere in due modi: con la forza o con un accordo. Il primo modo è quello classico e antico, lo avevano già codificato i romani: si vis pacem para bellum.
Anche il secondo è antico ma meno utilizzato: la pace si preserva con trattative che stabiliscano delle regole, dei limiti a cui attenersi. Qualunque tipo di accordo si può spezzare ma certamente un bilanciamento delle forze risulta sempre molto più instabile. Nel caso attuale l’unica vera garanzia realistica che abbiamo è di ricostruire un ordine negoziato con la Russia, in cui l’Europa (ri)trovi la sua sicurezza.
Il guaio con il conflitto in corso è che a tali ragionamenti si mescolano motivate reazioni dovute all’aggressione russa. Dopo il 24 febbraio viene difficile pensare di negoziare con chi ha scatenato questa guerra e quasi impossibile credere che è con Mosca che va ricostruita un’architettura di sicurezza per il futuro comune. Di conseguenza si torna indietro e si rileggono le varie fasi della storia contemporanea post-guerra fredda, attraverso la lente dell’aggressione, come se il conflitto fosse stato pianificato a Mosca molto tempo prima. Ne discende un’impressione diffusa di guerra ineluttabile, per taluni addirittura di piano strategico messo in atto fin dal 1991.
Non esistono automatismi
Gli storici ci spiegheranno in futuro che non esiste inevitabilità e che le decisioni possono avere concatenamenti ma mai ridursi a meccanici automatismi non controllabili dall’uomo. La politica è un’arte pratica che si commisura ogni giorno con la realtà e se ne fa modellare. Tuttavia un velo di pesante diffidenza e di scetticismo copre ogni ragionamento e si finisce per tornare indietro, a pensare che solo la forza potrà garantirci una pace stabile.
L’istinto ci spinge a non credere possibile un dialogo con chi ha rotto la coesistenza pacifica europea. Una riflessione più lucida e pragmatica ci invita a fare il contrario. Per quanto aggressiva e ideologica, la leadership russa non può permettersi una guerra infinita che alla lunga dissangua il paese, così come non può permettersela l’Unione europea.
Più di tutti non può sopportarla a lungo l’Ucraina che sta perdendo un’intera generazione di uomini (e anche molte donne) e sta subendo un’emorragia umana e materiale pesantissima. Non lasciamoci abbagliare dalla retorica e dalla propaganda: il dopoguerra sarà durissimo. Il fatto che anche il segretario generale della Nato dica che non sappiamo quanto durerà il conflitto, significa inoltre che nessuna vittoria è garantita per il solo invio di più armi.
La storia insegna che ogni guerra – in specie con la Russia – ha degli aspetti indecifrati e porta in serbo possibili cambi di sorte: nulla è assicurato. Abbiamo davanti agli occhi troppi esempi di guerre inizialmente vincenti ma poi perse per consunzione o esaurimento. Soprattutto quando la strategia e gli obiettivi rimangono illusori o addirittura assenti. Quali potrebbero essere gli “accorgimenti” di cui parla Stoltenberg per contenere la Russia? Nella fog of war si intravede spuntare il mostro dell’arma nucleare, sempre più banalizzata come “arma più potente”. È davvero questo che potrà garantirci e proteggere le generazioni future?
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