Per i russi dietro l’uccisione di Tatarsky ci sono gli ucraini e gli uomini di Navalny. Entrambi respingono le accuse mentre in Ucraina un funzionario filorusso subisce un altro attentato
Darja Trepova, la giovane 26enne arrestata dopo l’esplosione di un ordigno in un bar di San Pietroburgo nella serata del 2 aprile, è apparsa ieri in un video di pochi secondi rilasciato dalle autorità russe.
Le chiedono se sia a conoscenza delle motivazioni del suo arresto e davanti la telecamera risponde: «Direi, per essere stata sulla scena dell’omicidio di Vladlen Tatarsky. Ho portato lì questa statuetta, che è esplosa».
Per i servizi di sicurezza russi è la confessione che le aprirà le porte del carcere per aver ucciso il blogger militare russo Vladlen Tatarsky (alias di Maksim Fomin) e ferito 32 persone, di cui dieci in gravi condizioni.
Per suo marito, invece, Darja Trepova non sapeva che la statuetta che le avevano chiesto di consegnare in quel bar, dove Tatarsky stava tenendo un incontro con i suoi seguaci, contenesse l’esplosivo. «Daria ha detto di essere stata incastrata, e io sono d’accordo: nessuno se lo aspettava. Per quanto ne so, era necessario consegnare questa statuetta, in cui c’era qualcosa... Ne abbiamo parlato almeno due volte. Daria non è il tipo di persona che potrebbe uccidere qualcuno», ha detto il marito Dmitry Rylov in un’intervista alla testata indipendente russa The Insider.
La posizione del Cremlino
A meno di ventiquattro ore dall’esplosione avvenuta domenica sera, le forze di sicurezza russe hanno trovato Trepova in un appartamento di San Pietroburgo non lontano dal luogo dell’esplosione. Il suo volto è nitido nei nastri delle telecamere di sicurezza che hanno registrato il suo ingresso al bar. Trepova non ha preso grandi precauzioni e risalire alla sua identità non è stato complicato. Non avrebbe agito da sola, in serata è stato fermato anche un presunto complice. Secondo il Comitato nazionale antiterrorismo russo dietro l’attacco ci sarebbe l’intelligence ucraina che ha ricevuto l’aiuto della fondazione anticorruzione di Aleksej Navalny, l’oppositore politico di Vladimir Putin finito in carcere nel gennaio del 2021 e condannato a 9 anni di reclusione.
Il socio di Navalny, Ivan Zhdanov, ha negato le accuse. Secondo lui Putin non solo sta cercano un nemico esterno «sotto forma dell’Ucraina», «ma anche uno interno sotto forma della squadra di Navalny». Anche gli ucraini smentiscono le accuse e incassano il sostegno del capo del gruppo Wagner, Evgenij Prigozhin, secondo cui: «È tutto simile a quello che è accaduto a Darya Dugina. Ma non attribuirei queste azioni al regime di Kiev. Penso che ci sia un gruppo di radicali difficilmente legato al governo».
Chi era Tatarsky
Vladlen Tatarsky è un personaggio noto in Russia. Seguito da oltre 560mila follower, è un fervido sostenitore della guerra iniziata da Vladimir Putin lo scorso 24 febbraio. Nella giornata di domenica si trovava nel bar per partecipare all’evento privato organizzato dal gruppo telegram Cyber Front Z, un canale propagandistico del Cremlino. Più volte è apparso al fronte insieme ai militari di Mosca per raccontare la guerra seguendo la narrazione del presidente Putin.
Ciononostante non ha mai risparmiato critiche nei confronti del ministero della Difesa russo. Ma il suo ruolo di “megafono” era ben visto dal Cremlino. Tatarsky, infatti, era presente anche alla cerimonia con la quale Putin aveva annunciato l’annessione alla Federazione russa delle regioni ucraine di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, dopo i referendum farsa che si sono tenuti nel mese di settembre. «Conquisteremo tutti, uccideremo tutti, saccheggeremo chiunque ci serva e tutto sarà proprio come ci piace», aveva detto il blogger durante la cerimonia al Cremlino.
Non è il primo attacco
A poche ore di distanza dell’attentato nel cuore di Mosca, a Melitopol (territorio ucraino) è stato ucciso in un’autobomba il funzionario filorusso Maksym Zubarev. Secondo la Cnn era uno degli organizzatori dei referendum di annessione di settembre. Ma gli attentati degli ultimi due giorni non sono gli unici, se ne contano tanti altri, come quello avvenuto lo scorso agosto.
Quella volta, a morire in un’autobomba, fu Darya Dugina, figlia del noto ideologo russo vicino a Putin Aleksander Dugin. Anche in quell’occasione le responsabilità dell’attacco vennero attribuite agli ucraini.
Che siano stati gruppi terroristici interni alla Russia o azioni organizzate dai servizi segreti di Kiev, la guerra non colpisce soltanto militari e generali, ma prende anche di mira gli uomini del forte apparato propagandistico del Cremlino.
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