La decisione del Tribunale di Bologna di richiedere alla Corte di giustizia europea una interpretazione “autentica” della sua sentenza del 4 ottobre sulla definizione del termine «paese sicuro» e della corretta applicazione della direttiva UE/13/32, è lo sbocco obbligato ed istituzionalmente salutare del contrasto venutosi a creare tra la giurisdizione ed il legislatore italiano sulla scottante normativa della protezione internazionale per i richiedenti asilo previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e dall’art.78 del Trattato europeo.

Come noto, il governo Meloni sulla base di un protocollo con l’Albania del 2023 ha avviato una procedura accelerata di espulsione per coloro che non hanno diritto all’accoglienza basato su di una lista di “paesi sicuri” cui rispedire per direttissima in meno di un mese gli immigrati da essi provenienti.

Il tutto senza bisogno del controllo di alcun organo giurisdizionale salvo una generica “convalida” del Tribunale competente del “trattenimento” in appositi centri di raccolta come quelli albanesi a seguito del rigetto della domanda di protezione emessa “sul tamburo” dalle commissioni prefettizie.

La Sezione immigrazione del Tribunale di Roma traendo spunto da una sentenza della Corte di giustizia europea ha annullato i trattenimenti (vere e proprie detenzioni) sostenendo che il provvedimento europeo di fatto non li consente in base a liste precostituite di paesi sicuri e che debba essere il Tribunale con una più lunga procedura ordinaria a verificare se il paese cui restituire l’immigrato sia sicuro. Come ho scritto in tema di diritti ci può essere una sola voce a garantirli: quella della Costituzione applicata (almeno si spera anche per il futuro) dai giudici.

Alla canea scatenata dal governo sui provvedimenti del tribunale romano ha fatto seguito, inevitabilmente, quella sulla ordinanza del giudice bolognese che, preso atto del contrasto interpretativo su di una normativa europea, ha giustamente chiesto alla Corte del Lussemburgo, come prevedono i trattati dell’UE, se la procedura adottata dal governo italiano rispetti la direttiva 13/32 di obbligatoria applicazione.

Purtroppo al giudice bolognese è sfuggita la frizione con una provocatoria quanto inappropriata evocazione della Germania nazista, che secondo i parametri adottati dal governo sarebbe un «paese sicuro».

Esternazione di cui non si avverte il bisogno e peraltro assai imprecisa in quanto confonde il concetto di “sicurezza” con quello dello “stato di polizia”. L’estensore del provvedimento dovrebbe sapere che secondo i principi delle convenzioni internazionali uno stato totalitario non potrebbe mai essere riconosciuto come «paese sicuro».

Il magistrato ha diritto a parlare ma deve essere temperato nelle sue manifestazioni perché glielo impone la sua pubblica funzione.

Tuttavia non si può tacere di fronte all’ennesima aggressione “ad personam” di un giudice, in questo caso il presidente della sezione immigrazione del tribunale felsineo di cui La Verità pubblica il testo di una lettera aperta del 2019 nella quale rivendicava il suo diritto a essere genitore di un figlio nato da una gpa richiesta da lui ed il suo compagno.

Ovviamente ci diranno che la notizia è vera ed è di pubblico interesse, ma non è così, oggi la gpa in base ad una legge “etica” del governo Meloni è un reato, addirittura “universale”, anche se il giudice non può essere perseguito in quanto non era tale all’epoca e dunque è evidente la messa all’indice, l’esposizione alla pubblica riprovazione, l’etichetta strisciante di “magistrato comunista”, la strizzatina d’occhio complice sulla vita privata. Chiedo scusa: cosa c’entra quest’episodio con la decisione adottata in tema di immigrazione? Cosa aggiunge alle argomentazioni di un provvedimento giudiziario? È lo sghignazzo la risposta opposta al diritto?

Io non condivido il paragone con la Germania nazista ma non posso fare a meno di ricordare (andate a vedere il Museo dell’Orrore a Berlino) l’usanza negli anni prima dell’avvento del nazismo di fare sfilare gli oppositori in mezzo alla gente con un cartello di derisione sulle spalle. Oggi sulle spalle del dottor Gattuso è stato messa l’ennesima gogna di fonte a cui non si può tacere.

© Riproduzione riservata