Il partito democratico per una decina di giorni è stato come un pugile suonato, atterrato dall’attentato a Trump che ha scatenato la narrativa del divino segno premonitore; e dalla scelta del suo vice J.D. Vance. Ma i giorni dell’angoscia per i Dem sembrerebbero finiti. E ringraziano Biden per la sua dedizione alla causa con una valanga di dollari: da qui parte Kamala Harris
In questa campagna elettorale americana, fatta di segni premonitori, candidati miracolati, accidenti provvidenziali, e competitori che si fanno da parte, forse contro la loro volontà, potrebbe accadere quel che si può rendere come la regola del contrappasso: Donald Trump andò alla Casa Bianca battendo una donna; e una donna potrebbe ora batterlo.
Non ci si lasci sviare dalla incerta fama di Kamala Harris, ex procuratore californiana dalla mano ferma nel punire (uno sceriffo), rimasta per tutta la vicepresidenza ai margini, anche per aver fatto (lei come Biden) molte gaffe. Apprezzata per le sue arringhe in tribunale (e chissà che non usi questa strategia contro Trump) la nomination ancora non ce l’ha ma la sta alacremente costruendo a lunghe falcate.
E sarà dirompente. I segni di questa rinascita del Partito democratico e il suo ricompattamento di fatto intorno a Biden e alla sua legacy sono forti, tanto che anche la speaker Nancy Pelosi ha annunciato di appoggiarla.
Prima di tutto le donazioni, che misurano la forza elettorale del partito. Un “super PAC” (raccolta di soldi da spendere per le attività legate alla campagna) di sei cifre è stato in una manciata di secondi spostato a sostegno della candidatura di Harris.
Un comitato con forti legami con Hollywood, racconta Politico, sta lanciando lo spot “Kamala Harris for America” sui social media e sulle piattaforme di streaming per raggiungere gli elettori sotto i 30 anni in tre swing states: Michigan, Pennsylvania e Wisconsin.
L’effetto Harris
L’uscita di Biden dalla corsa alle presidenziali è stata accolta con una valanga di denaro: più di 50 milioni di dollari online domenica scorsa; e le donazioni continuano. Si tratta del fenomeno di preferenza pro-dem più importante dal 2020, quando a questa cifra si era giunti alla fine della campagna, non all’inizio.
Scrive il New York Times che col ritiro di Biden, Harris si prepara a conquistare la nomination alla Convention di Chicago di agosto, e «i democratici sono andati online a contribuire a un ritmo impressionante. Le donazioni sono passate da una media di meno di 200mila dollari all’ora nelle ore precedenti il ritiro di Biden a quasi 11,5 milioni di dollari in una sola ora domenica».
Come non leggere questo come un segno di risveglio e nuova energia di un partito che per una decina di giorni è stato come un pugile suonato, atterrato dall’attentato a Trump che ha scatenato la narrativa del divino segno premonitore, e dalla scelta del suo vice J.D. Vance, perfetto esempio del sogno americano. I giorni dell’angoscia per i Dem sembrerebbero finiti. E ringraziano Biden per la sua dedizione alla causa con una valanga di dollari: da qui parte Kamala Harris.
Una partenza sprint che ha sorpreso tutti. È vero che la sua forza nel partito e nell’elettorato americano dovrà essere costruita. Ma i primi segni sono più che incoraggianti. Una conferma ci viene proprio dal commento volgare e aggressivo di Trump, nel quale si intuisce quale sarà il canovaccio della sua campagna: userà toni violenti e offensivi, come fece nel 2016 contro Clinton e recentemente contro una sua concorrente repubblicana, Nikki Haley: character assassination e misoginia.
Ma da casa Dem vengono i segni più importanti. Prima di tutto, l’immediato sostegno dei maggiorenti del partito, e tutti i governatori democratici degli stati: Josh Shapiro (Pennsylvania); Roy Cooper (North Carolina); Andy Beshear (Kentucky); Kathy Hochul (New York); John Green (Hawaii); Gavin Newson (California); Jared Polis (Colorado).
Scrive Anna Di Lellio nel blog FoglieViaggi che la snella burocrazia del partito si sta allineando, un fatto anche questo rivelatore: tutti i responsabili del partito nei 50 stati si sono dichiarati per Harris; un endorsement pesante ai fini della decisione di voto dei delegati alla convenzione del 19 agosto.
E infine, il sostegno delle associazioni: la Federazione Americana degli insegnanti; Emily’s List, che finanzia e sostiene candidate donne; le associazioni di donne afroamericane, e di altre minoranze etniche, soprattutto asiatiche e di razza mista, l’importante sindacato ALF-CIO.
Non sappiamo come la storia finirà. Ma possiamo dire fin da ora che ci sarà battaglia, il che è già una componente di una possibile vittoria. Dicono che la crescente energia di base dietro la campagna presidenziale di Harris è dimostrata dalla straordinaria mobilitazione a favore della sua candidatura da parte delle donne nere (hanno raccolto un milione di dollari in poche ore). Chissà che non sia proprio una donna a sconfiggere Trump.
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